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Attualità

Bauman, la modernità liquida e il Muro del pianto

di Vincenzo Viti -


Cento anni fa nasceva Zygmunt Bauman ebreo polacco, sguardo rivolto ai segni di incertezza e di insicurezza di fine secolo che sembravano anticipare l’inesorabile slittamento del vecchio mondo verso una nuova antropologia. Un lungo viaggio dalle rovine del mondo regolato dalla “compattezza” di lingue e costumi comunitari fino all’alveare dei processi digitali che ampliavano a dismisura l’universo comunicativo, illudendoci di una illimitata libertà, mentre ci chiudeva nell’ isolamento individualistico. Insomma il vecchio mondo si liquefaceva aprendosi ad una “modernità liquida” incapace di rapprendersi in forme stabili di relazione e in una costituzione civile progettata per durare.

 Non fu solo profezia quella di Bauman ma percezione vitale di un lento scivolamento verso il trionfo della “ragione strumentale” che avrebbe cospirato per la piena omologazione della umanità. Non a caso la modernità proprio attraverso i totalitarismi, si sarebbe consumata nella “dissoluzione liquida“.

Tuttavia in Bauman la idea di modernità e di progresso conservano connotazioni positive. Si iscrivono dentro i meccanismi sistematici e ricostruttivi del processo capitalistico. Che sono in grado di superare il limite della “liquidità” così da sperimentare e conseguire nuove forme di vitalità e di consistenza. È come se Bauman pensasse una modernità più avanzata, anzi successiva a quella raccontata come liquida. In ciò, assai lontana dalle filosofie “dionisiache” della crisi intrise del pessimismo radicale che avrebbe infierito sul mondo. Esegeta e profeta della modernità, Bauman ci lascia smarriti di fronte al muro bianco di una modernità a venire in crisi di socialità. All’enigma cioè di una modernità tuttora al centro della avventura. Una impresa tutta da vivere.


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