Esteri

Biden aggiusta il tiro su Taiwan ma il danno è fatto. Il ruolo del Giappone

Pechino: “Non c’è forza al mondo, Usa compresi, che possa fermare il popolo cinese dalla riunificazione”

di Adolfo Spezzaferro -


Biden aggiusta il tiro su Taiwan dopo aver dichiarato che gli Stati Uniti sono pronti a intervenire militarmente in caso di invasione dell’isola da parte della Cina. La politica Usa di “ambiguità strategica” su Taiwan non è cambiata, chiarisce il presidente a Tokyo, dopo aver avuto non poche pressioni anche da Washington per la minaccia rivolta a Pechino. Lo scopo dell’ambiguità sull’uso della forza militare verso attacchi cinesi contro Taiwan, adottata da Washington nel 1979, è da un lato dissuadere Pechino dall’aggredire Taipei, dall’altro far sì che l’isola non proclami la sua indipendenza. Nonostante la smentita dello stesso Biden alle parole di ieri, la replica di Pechino è dura: “Non c’è forza al mondo, compresi gli Usa, che possa fermare il popolo cinese dal raggiungimento della completa riunificazione nazionale”. Lo dice il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin, ricordando che “non c’è forza al mondo, compresi gli Usa, che possa salvare il destino delle forze dell’indipendenza di Taiwan dal fallimento”.

Insomma, le parole di ieri di Biden non si possono cancellare così facilmente. Almeno non per la Cina. Non a caso Wang chiosa: “Consigliamo agli Usa di ascoltare una famosa vecchia canzone cinese, che dice: ‘Quando arriva un amico, c’è del buon vino. Se arriva lo sciacallo, c’è un fucile per salutarlo!’”. Tuttavia appare evidente che gli avvertimenti di Biden, poi in parte smentiti, nascono dal fatto che gli Usa non vogliono un’altra Ucraina. Anche perché la Cina non è la Russia.

È pur vero però che da alcuni mesi gli Usa hanno modificato la linea politica nei confronti di Taiwan in direzione di un impegno di difesa più esplicito rispetto al passato. Ciò rientra nella Politica per l’Indo-Pacifico, il documento reso noto dalla Casa Bianca lo scorso febbraio, in cui si definisce per tutte e due le parti politiche, quella repubblicana e quella democratica e per ogni amministrazione presidenziale, che questa area del mondo è di vitale importanza per gli Stati Uniti. Di fatto, con questa politica gli Usa si spostano verso una posizione più interventista, per difendere la violazione della sovranità, in questo caso di Taiwan. La politica dell’ambiguità dunque de facto è acqua passata.

Va da sé che se Biden alza i toni, Pechino replica a tono, per l’appunto. L’escalation diplomatica insomma è inevitabile. Ma nell’Indo-Pacifico c’è pure e soprattutto il Giappone. In tal senso, Tokyo preferisce mantenere le distanze dall’alleanza militare dell’occidente nell’area, il cosiddetto Aukus (Australia, Regno Unito, Usa). È di oggi infatti la dichiarazione del premier Fumio Kishida che il Giappone non si unirà all’Aukus. E non a caso lo annuncia al summit del Quad-Quadrilateral Security Dialogue: il forum di discussione tra Usa, Giappone, Australia e India che Pechino teme diventi una “Nato asiatica”. A latere segnaliamo che nella dichiarazione finale del Quad sulla guerra in Ucraina l’India si è imposta per non far comparire mai le parole Russia e russi. Ma è la posizione di Tokyo ovviamente quella di maggior rilievo.

Insomma, vista la crisi sino-americana su Taiwan e le pericolose similitudini con la crisi ucraina – scaturita in un conflitto che potrebbe durare ancora a lungo – il Giappone preferisce essere la Turchia dell’Indo-Pacifico. Anche in tale ottica va dunque letto il “no, grazie” all’alleanza militare Aukus.


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