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ANM e politica: Luigi Bobbio accusa la magistratura di violare la Costituzione

Il magistrato Luigi Bobbio denuncia la deriva politica dell’ANM dopo la nascita del Comitato per il No alla riforma della giustizia. Con la separazione delle carriere approvata in Senato, la magistratura rischia di perdere la propria credibilità istituzionale.

di Anna Tortora -


Dopo la riforma della giustizia, lo scontro sul ruolo dell’ANM segna una svolta nel rapporto tra poteri dello Stato

Dalla riforma alla mobilitazione: la scelta dell’ANM

La settimana scorsa, il Senato ha approvato in via definitiva la riforma della giustizia, introducendo la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente.
È una riforma che, per la prima volta, mette nero su bianco ciò che la Costituzione aveva solo lasciato intendere: che chi accusa e chi giudica devono appartenere a ordini diversi, per garantire pienamente la terzietà del giudice e l’equilibrio tra poteri.
Eppure, invece di affrontare questo cambiamento come una riforma istituzionale, la Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha reagito politicamente.
La nascita del Comitato per il No, apertamente schierato contro la legge, rappresenta un fatto dirompente: un corpo che si organizza come soggetto politico, opponendosi a un’iniziativa parlamentare legittima.

L’analisi di Luigi Bobbio: “È politica, ed è incostituzionale”

Il magistrato e già senatore Luigi Bobbio ha espresso una posizione durissima e argomentata, denunciando l’uso improprio del ruolo istituzionale da parte della magistratura.
«La magistratura, per il tramite della ANM, dando vita al Comitato per il no, sta facendo politica, in maniera scorretta e incostituzionale, in quanto sta veicolando e propagandando suoi propri ed esclusivi interessi di corporazione contro una iniziativa parlamentare costituzionalmente legittima.
Orbene, al netto della sfacciata violazione della Costituzione, la questione di fondo è: poiché la pratica della politica comporta quale corollario necessario la responsabilità politica, quale sarà, in caso di sconfitta, la responsabilità politica della magistratura italiana?
La risposta può essere una sola: la perdita totale e definitiva di ogni credibilità e affidabilità in ogni suo agire, legittimando definitivamente ogni intervento normativo, parlamentare o governativo che sia, che possa essere ritenuto utile e necessario a ricondurre la magistratura italiana nel solco costituzionale restituendole la credibilità persa.
E così sia.»

Parole pesanti, ma impossibili da ignorare.
Bobbio pone una questione di principio: chi amministra la giustizia non può pretendere di agire come soggetto politico.
E se lo fa, deve accettarne le conseguenze: responsabilità, sconfitta, perdita di credibilità.
La magistratura non può essere al tempo stesso potere dello Stato e parte nel conflitto politico.

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La riforma come ritorno all’equilibrio costituzionale

La riforma della giustizia approvata in Senato non rappresenta un attacco all’indipendenza dei giudici, ma un atto di riequilibrio.
Separare le carriere significa garantire davvero l’autonomia di chi giudica e la libertà di chi accusa, eliminando sovrapposizioni che nel tempo hanno favorito corporazioni e fazioni interne.
L’ANM, opponendosi frontalmente al Parlamento, mostra di non accettare l’idea che anche la magistratura debba sottostare alla logica della Costituzione, non alla propria.
Ecco perché l’avvertimento di Bobbio suona oggi come una sentenza morale: una magistratura che si comporta come un partito rischia di perdere per sempre la fiducia dei cittadini.
La politica, questa volta, ha esercitato il suo diritto-dovere di riformare.
Ora tocca alla magistratura recuperare il proprio posto nel sistema costituzionale, non come potere che contende ma come potere che serve.
Solo così potrà riconquistare quella credibilità che, come ammonisce Bobbio, ha cominciato a smarrire nel momento in cui ha deciso di scendere in campo.
E così sia.


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