Editoriale

BONAFEDE E MALAFEDE

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Succede infatti che il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che pochi giorni prima dell’arresto di Matteo Messina Denaro aveva spoilerato, come si dice adesso, ad Agrigento, mentre parlava a un convegno, che lo Stato stava per catturarlo, oggi attacchi chi mette in dubbio che il racconto che lo Stato si accinge a fare non sia del tutto limpido, né completo, né veritiero. E parla di “Malafede”. Una bella coincidenza, visto che è proprio Bonafede l’Avatar di Messina Denaro, l’alias, il nome d’arte, rubato a un vecchio amico d’infanzia di Trapani che aveva vissuto staccando biglietti all’Acquasplash, con un papà mafioso morto due anni fa, e che dopo avere schivato Cosa Nostra per tutta la vita s’è trovato a dover dire di sì al Padrino praticamente quando le diagnosi della clinica La Maddalena dicevano che se ne stava per tornare al Creatore, per buona pace di tutti.
Ma noi siamo Mafialand. Per cui A Non è l’Arena di Massimo Giletti va in onda un’intervista a Salvatofre Baiardo, braccio destro dei Graviano, intervista da far accapponare la pelle. Sembra un film di fantascienza, ma si scoprirà essere la realtà. Questo tizio, a novembre, poi poco prima di Natale, dice in diretta su La7 che Messina Denaro ha il cancro, che sta trattando per farsi arrestare senza manette (come poi è stato), anche perché il cerchio si stringe (il 6 settembre oltre 30 suoi picciotti vengono arrestati a 98 metri dal suo covo) e forse è il caso di giocare l’ultima carta. La reazione del Paese? I soliti scoop di Giletti. Ma a giuardare bene ne ha fatti di autentici, dalle mascherine, all’Oms, fino all’arresto del super latititante. Bonafede? O Malafede? Signor ministro, veda lei.
Poi il carico lo mette Claudio Martelli, non solo amico di Giovanni Falcone e ministro della Giustizia che contro la mafia ha fatto molto più di ciò che ha detto, ma forse l’uomo senza l quale molte pagine di quella storia poi finita tragicamente nemmeno sarebbero state scritte. E dice, a Tagadà, che quelle parole, signor ministro, era meglio tenersele in grembo. E che a lui, che di queste cose ne capisce eccome, l’intervista da Giletti ha fatto pensare che stava succedendo qualcosa. E che forse, se c’era una malafede da evidenziare, non era certo quella di chi chiede allo Stato la verità, ma quella di chi non ha colto che nelle parole di Baiardo c’era un ultimo, estremo favore proprio ai Graviano, perché annunciare l’arresto di Messina Denaro poteva servire a farlo saltare. Bonafede o malafede? Signor ministro, veda lei.
Fatto sta che questo non è un rave party. E che il problema è molto semplice. La democrazia, che contiene in sé come corollario proprio la lotta alla mafia, alle bugie di Stato, alle semplificazioni del ministri, prevede che proprio dicendo le cose, esprimendo i dubbi e pretendendo di non chiudere un capitolo come l’arresto di U’ Siccu con quattro tweet e un applauso a reti unificate, si possa usare questo grande colpo contro la criminalità organizzata da parte del Ros e della procura di Palermo per sgombrare tutti i dubbi che restano nell’aria da almeno trent’anni. Dopo l’arresto è il momento delle domande, non delle sentenze, signor ministro. Questa è Bonafede. Pardòn, buonafede.

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