Bova: dossieraggio, ricatti e spaccio. I rischi di Corona, Monzino e Ceretti
A due settimane dalla pubblicazione dei messaggi privati tra Raoul Bova e la giovane modella Martina Ceretti sulla piattaforma Falsissimo, la vicenda ha superato da tempo i confini del gossip estivo.
Quello che appariva come l’ennesima incursione nella sfera privata di un volto noto dello spettacolo italiano si sta rivelando un intreccio torbido fatto di dossieraggio illecito, ricatti, denaro contante, stupefacenti e pressioni psicologiche. Sul quale solo la magistratura potrà fare chiarezza. La storia, cominciata con l’invio di alcune chat e messaggi vocali tra Bova e Ceretti all’ex “re dei paparazzi” Fabrizio Corona, si arricchisce oggi di nuovi elementi di natura penale, che potrebbero trasformare l’intero impianto in un caso di tentata estorsione aggravata.
Caso Bova: soldi, cocaina e menzogne
La svolta arriva da fonti della Procura di Roma, rilanciate ieri. Federico Monzino, 29 anni, imprenditore milanese con un cognome pesante e amicizie altolocate, avrebbe ritrattato la versione pubblica diffusa nei giorni scorsi, quella secondo cui avrebbe passato il materiale a Corona solo per “dare visibilità” a Martina Ceretti, sua amica. Quella versione, già allora apparsa debole, cade del tutto di fronte a quanto Monzino avrebbe ammesso agli investigatori: avrebbe ricevuto in cambio mille euro in contanti e, dettaglio ancora più inquietante, il numero di telefono di uno spacciatore di cocaina. Il gesto non sarebbe quindi frutto di leggerezza o vanità, ma di consapevolezza e calcolo. Un tentativo di monetizzare un contenuto potenzialmente lesivo per l’immagine di Bova. La Polizia Postale, che ha tracciato tutti i passaggi digitali, conferma che la catena di trasmissione è ben più complessa e strutturata di quanto apparso inizialmente.
Tutto comincia tra l’11 e il 12 luglio, quando Raoul Bova riceve su WhatsApp un messaggio da un numero spagnolo. Il mittente è anonimo, ma gli inquirenti ritengono che dietro ci sia proprio Monzino. Il contenuto del messaggio è chiaro: “Questa è pesante cavolo, anche con audio che conferma tutto. Nelle mani di Fabrizio diventa una puntata di Falsissimo. Questo te lo giuro, sono già in contatto con lui”. Un avvertimento in piena regola, condito da tono colloquiale e minaccia velata. Il passaggio cruciale, però, è la reazione di Bova, che non cede alla pressione. Risponde con freddezza: “Io non sono più in una relazione da tempo, quindi non è una cosa che crea un disastro”. Poi, senza esitazione, denuncia tutto alle autorità. Invia gli screenshot e i messaggi alla Polizia Postale e si mette a disposizione dell’inchiesta. Una scelta che ha fatto la differenza: ha impedito che l’operazione degenerasse in un danno d’immagine ancora più grave, e ha permesso l’avvio di una ricostruzione investigativa che oggi coinvolge almeno tre soggetti.
Bova, Monzino e Corona
Il materiale compromettente arriva comunque nelle mani di Fabrizio Corona, che il 21 luglio lo pubblica sulla sua piattaforma Falsissimo. Il titolo è esplosivo, il contenuto ancora di più: chat, vocali, confidenze private e commenti personali. Ma stavolta l’eco mediatica viene superata dal peso penale. La domanda che si pongono gli inquirenti è semplice ma centrale: Corona era solo un intermediario? O sapeva tutto? Se si dimostrasse che Corona ha pubblicato quei file in un contesto già carico di ricatti, e che ne era consapevole, egli rischierebbe l’iscrizione per concorso in tentata estorsione. Monzino, intanto, prova a smentire. In un’intervista concessa a un quotidiano, però, nega tutto: dice di non aver ricevuto né denaro né contatti legati alla droga. Parla di “strumentalizzazioni” e difende ancora la versione della “visibilità per l’amica”. Ma le sue parole contano meno dei tracciamenti informatici e degli atti dagli inquirenti.
Il nodo Martina Ceretti
Al centro del caso, e finora in silenzio, resta Martina Ceretti, 23 anni, modella emergente, con un discreto seguito social. Interlocutrice diretta di Bova, amica di Monzino, destinataria delle attenzioni della cronaca, non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale. Non è formalmente indagata, ma gli inquirenti si chiedono quale sia stato il suo ruolo. Sapeva? Ha autorizzato la diffusione dei messaggi? Ha acconsentito al passaggio a Corona? Oppure è stata a sua volta vittima? Secondo quanto trapela, le chat sarebbero partite dal suo telefono. E se si dimostrasse che ne era consapevole, e magari ha acconsentito per ottenere visibilità, la sua posizione potrebbe aggravarsi sensibilmente.
Il registro degli indagati, ovviamente, è blindato, ma non sono esclusi sviluppi a breve. Gli elementi raccolti – tra cui messaggi, bonifici, contatti telefonici e spostamenti digitali – puntano verso una triangolazione pericolosa, che la Procura sta analizzando con attenzione e precede inevitabili decisioni. La presenza di denaro, il riferimento alla cocaina, la minaccia su WhatsApp e la pubblicazione del materiale su Falsissimo potrebbero configurare una tentata estorsione aggravata dalla diffusione su larga scala. Secondo ambienti giudiziari, una svolta formale potrebbe arrivare entro la fine del mese, con le prime eventuali iscrizioni e la convocazione ufficiale dei protagonisti. Il vero elemento distintivo della vicenda resta la reazione dell’attore Bova. Che ha spiazzato Monzino, Corona e Ceretti. In un mondo dello spettacolo spesso incline al silenzio o al patteggiamento sotterraneo, l’attore ha scelto di affrontare la macchina del fango frontalmente, denunciando e parlando apertamente del tentativo di ricatto. Quanti altri, meno forti o meno lucidi, avrebbero ceduto?
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