Hot parade
Sale: Carlo Conti. Severo ma giusto. I dati gli danno ragione: Carlo Conti vola oltre il 70 per cento di share, a livelli che manco ai tempi dell’Eiar e di Nunzio Filogamo. Sorveglia tutti, non fa sbracare nessuno, non consente pubblicità occulte, tiene i tempi che manco un capostazione di quell’era che fu, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, Se ne strafrega dei soloni che volevano vedere sangue e marketing parafrasando quel celebre aforisma di Rino Formica. Il vincitore del Festival è lui, con Gabry Ponte: ça va sans dire: tutta l’Italia!
Stabile: Jannik Sinner. La Wada s’è tolta la soddisfazione, Sinner s’è li è levati dai racchettoni. Tre mesi a casa per il caso Clostebol, arrivederci e grazie. Adesso, dopo un po’ di vacanza forzata grazie a cui potrà ritemprarsi (e forse trovare pure il tempo di passare a salutare il Presidente Mattarella a cui ha dato il palo qualche settimana fa) possiamo ripartire tutti quanti insieme. “Un’ingiustizia vergognosa che ci rende felici”, ha sentenziato il capo della Federazione Angelo Binaghi. Il destino dei patteggiati è così: inseguiti dal sospetto, tormentati dal giustizialismo (e non solo da loro). Ma questa è un’altra storia.
Scende: Kamala Harris. Toh, guarda un po’ chi si rivede. Kamala non molla e ci riprova. Essere stata asfaltata da Trump non le è bastato, no. Adesso vuole tentare l’impresa. Candidarsi a governatrice della California. Là dove i democratici avrebbero vinto pur candidando una sedia vuota. E dove, dopo gli incendi, i woke non li vuol vedere più nessuno. L’impresa è da far tremare i polsi ma Kamala nostra, come i pompieri, paura non ne ha. E si butta nell’agone lancia in resta con un obiettivo non dichiarato ma epocale, storico, alla sua portata: perdere pure in California. Possibilmente, di brutto.
*di Simone Donati
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