Attualità

Brancaccio, l’ideatore dell’appello: “Un antidoto al veleno guerrafondaio”

di Giovanni Vasso -

EMILIANO BRANCACCIO ECONOMISTA


Dall’Italia al Messico, dal Regno Unito alla Germania e fino agli Stati Uniti. Il documento per le “condizioni economiche per la pace” macina consensi in tutto il mondo. In poche ore, dopo la pubblicazione del manifesto sul Financial Times, sono giunte decine e decine di adesioni e sottoscrizioni da parte di economisti, accademici e ricercatori da ogni parte d’Europa e del mondo. L’iniziativa è stata promossa da Emiliano Brancaccio, professore di politica economica all’Università del Sannio. Ha riscosso subito molte adesioni, in giro per il mondo, raccogliendo firme tra alcuni dei più autorevoli esponenti della comunità accademica del pianeta. Tra questi c’è Lord Robert Skidelsky, professore emerito di economia politica all’Università di Warwick, storico dell’economia, tra i massimi biografi di John Maynard Keynes, uno dei giganti riconosciuti del pensiero economico di ogni tempo.
L’appello sulle “condizioni economiche per la pace”, pubblicato ieri sul Financial Times, sviluppa, tra l’altro, tesi che l’economista Emiliano Brancaccio aveva già esposto in un suo libro recente, “La guerra capitalista”. A Brancaccio, tra i promotori dell’iniziativa, chiediamo lumi sulle ragioni di questo appello.

 

Professore, nell’appello pubblicato sul FT sostenete che la guerra in corso non è uno scontro di civiltà ma un conflitto tra capitalismi, innescato da gravi tensioni economiche mondiali. Chi sono i responsabili di queste tensioni, tra Washington e Pechino, passando per Londra e Mosca?
Un motivo di contrasto risiede nel fatto che gli Stati Uniti e i loro alleati si sono resi conto che la globalizzazione deregolata li portava ad accumulare debiti verso l’estero. Per questa ragione, da diverso tempo, hanno abbandonato la vecchia retorica liberista e hanno deciso di svoltare verso il “friend shoring”, una forma ‘geopolitica’, particolarmente aggressiva, di protezionismo commerciale e finanziario. L’obiettivo principale è impedire alla Cina e agli altri paesi creditori di esportare capitale a Ovest per acquisire aziende occidentali. Purtroppo, come è già accaduto nella storia del capitalismo, questo tipo di svolta protezionista alimenta reazioni militari e controreazioni, attivando una catena di violenze potenzialmente letale.

 

Voi individuate una possibile soluzione nella International clearing union ideata da Keynes. Cos’è e come andrebbe attuata oggi?
In sostanza, servirebbe un piano per la regolazione politica e pacifica degli enormi squilibri commerciali e finanziari che si sono accumulati tra i diversi paesi, specialmente tra Stati Uniti e Cina. La precondizione è che gli americani abbandonino l’arma del protezionismo unilaterale e i cinesi ammettano che il libero scambio è causa e non soluzione del problema. Sono queste le basi economiche per avviare un concreto percorso di pace.

 

L’Italia, o meglio l’Europa, che ruolo giocano e quale dovrebbero giocare?
Sono crocevia del conflitto, dal punto di vista sia militare che economico. E hanno una posizione netta sull’estero più articolata rispetto agli altri grandi attori in gioco. Avrebbero le caratteristiche per agire da mediatori. Ma stanno facendo esattamente il contrario. In un dibattito con Romano Prodi, dissi che la sua idea dell’Unione europea come “agente di pace nel mondo” non mi persuadeva molto. Purtroppo i fatti mi stanno dando ragione, oltre le aspettative.

 

Professore, il vostro appello va alle cause profonde. Ma nell’attuale clima di propagande contrapposte, c’è ancora margine per un discorso franco sulle determinanti sotterranee della guerra?
La propaganda dei guerrafondai è un meccanismo ideologico potente: agisce per ottenebrare, per indurre i più a spegnere il cervello, a rinunciare a qualsiasi moto di riflessione critica. E’ un veleno che ha già operato in passato e si è sempre concluso con una corsa ai massacri. Il nostro appello è solo una goccia di antidoto contro questo mare di veleno ideologico. Vedremo se servirà a risvegliare qualche coscienza.

 

Se le coscienze non dovessero risvegliarsi, quali saranno le conseguenze?
Contro le tesi dei marxisti, Keynes riteneva che fosse possibile salvare il capitalismo dalle sue dinamiche più perniciose e distruttive, guerra inclusa. Che i fatti gli abbiano dato ragione oppure no è questione aperta, e nostro malgrado sta tornando alla ribalta. L’attuale aggravamento delle tensioni militari a livello mondiale sarà un nuovo, tremendo banco di prova, anche per verificare se nel mondo ci sia ancora spazio per un capitalismo “illuminato” di stampo keynesiano.


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