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Editoriale

Brasile-Italia, il mistero della doppia cittadinanza che diventa “impunità”

di Adolfo Spezzaferro -


Torniamo sulla nostra inchiesta, “Brasil connection”, che vuole fare luce sulle relazioni politiche opache tra esponenti politici brasiliani e diplomatici/politici italiani in Brasile, perché dobbiamo raccontarvi bene cosa c’è dietro il business delle cittadinanze facili e dei passaporti che “spariscono” a seconda che si voglia parlar bene o male del nostro Paese.

La nostra indagine nasce come una sorta di spin-off dell’altra nostra inchiesta, sbarcata anche in televisione (per fortuna, perché tutti gli italiani che frequentano il Brasile possano essere messi in guardia), sulla cosiddetta “fabbrica dei bambini”. Lì era emerso un sistema per truffare italiani facoltosi con false paternità a suon di esami del Dna truccati e “protezioni” locali a vari livelli, qui oggi vediamo amministratori pubblici brasiliani “oriundi italiani” vantarsi prima, pubblicamente, di essere cittadini italiani facenti capo ad uno specifico Consolato Italiano (addirittura, in taluni casi, con relazioni personali con familiari dei nostri rappresentanti diplomatici), con passaporto anche per tutta la propria famiglia, per poi brutalmente minacciare, in modo impunito, nostri concittadini.

Stiamo parlando di signori (si fa per dire) che dal Brasile, come se fosse una sorta di “oasi di impunità”, denigrano cittadini italiani residenti in Italia (e a volte oltraggiano anche alte cariche del nostro Paese che, “inspiegabilmente”, non rispondono come farebbero ad un italiano d’Italia). Come se gli “italiani del Brasile”, per il fatto di essere diventati un numero di fatto “incontrollabile”, possano fare di tutto con la convinzione di non essere mai processati proprio da quell’Italia a cui hanno chiesto il passaporto.

Siamo al “paradosso” delle cittadinanze iure sanguinis, come racconta anche un recente articolo del vicedirettore dell’AdnKronos Fabio Insenga, quello di una palese disparità di trattamento a favore proprio degli “italiani d’oltreoceano”. Hanno tutti gli stessi diritti degli italiani di casa nostra che da sempre hanno contribuito, anche attraverso un gravoso prelievo fiscale, a sostenere il Paese, in primis per istruzione e sanità, ma quanto ai doveri?

Quando si tratta di fare il bene dell’Italia (come farsi tassare in Italia e non semplicemente – come pensa qualche benestante – comprare un immobile di villeggiatura nel Belpaese) spunta l’altra cittadinanza: quella brasiliana. La quale sarà poi sarà messa di nuovo in secondo piano, preferendo quella italiana, se lì si venisse magari processati per “fantomatici” reati politici e si avverta la necessità di un comodo “rifugio politico”.

In quel caso il passaporto italiano fa dimenticare la nazionalità brasiliana e le garanzie italiche ripagano, di molto, anche le “costose pratiche” per ottenere la cittadinanza. Insomma, siamo di fronte a una comoda “porta girevole” dove ci si sente, di principio, di adempiere solo ai “doveri brasiliani” perché quelli italiani sono di un “Paese lontano dal Brasile” buono certamente per “scroccare” dei benefici, qualora un figlio volesse utilizzare l’università pubblica oppure un anziano la nostra costosa (perché cara ci è costata e ci costerà ancora) sanità come un diritto senza alcun corrispettivo.

Uno status “para-diplomatico”, chiamiamolo così, migliore anche di quello di un italiano d’Italia se pensiamo che quest’ultimo, se commette un reato, la giustizia – in qualche modo- lo raggiunge, mentre lo stesso non avviene, pacificamente, per la classe “privilegiata” oriunda. Sì, perché – forse grazie a un sentiero tracciato da una certa politica italiana del passato che oggi si porrebbe sulle ‘barricate’ – la maggior parte di questi oriundi non solo non risulta reperibile ma, alle volte, benché abbiano ottenuto un passaporto (dunque con dati anagrafici e biometrici acquisiti in un Consolato Italiano e chip con gli stessi dati in possesso del Cen-Centro Elettronico Nazionale del ministero dell’Interno) non risultano – “stranamente” – italiani proprio quando dovrebbero rispondere in procedimenti giudiziari in Italia.

Ma come è possibile tutto questo? Innanzitutto non si capisce perché non esista un coordinamento tra gli archivi dei Consolati Italiani all’estero e quello dei Comuni in cui (altra anomalia nostrana) – ai fini Aire – risultano “virtualmente residenti” gli oriundi. Questo è il primo fatto grave – non siamo di fronte a cavilli burocratici o semplice disorganizzazione ma, almeno sulla carta (che non si trova), ad un ostacolo alla giustizia. Se un oriundo non si sa esattamente dove sia iscritto potrà risultare come un “fantasma”. Insomma, delle due l’una: o la polizia giudiziaria non ha accesso alla banca dati del ministero dell’Interno (ma ci pare improbabile), fonte primaria d’indagine per attivare i procedimenti giudiziari nei confronti dei nostri italiani all’estero, oppure c’è qualcosa di strano, se persone, con acclarato passaporto, non risultano, talvolta, cittadini italiani.

Ripetiamo, la cittadinanza non “sparisce” a proprio piacimento. Perché così si creano delle “sacche d’impunità giudiziale” che a questo punto non sappiamo quanto casuali o, in qualche forma, ben note agli operatori del diritto, tra cui le cancellerie nostrane. Da persone di buon senso riteniamo che a diritti debbano corrispondere doveri, che un Paese con civiltà giuridica, come l’Italia, dovrebbe garantire un principio di uguaglianza sostanziale, in questo caso con una disparità di trattamento – processuale e sostanziale – a netto favore degli oriundi, che andrebbero a godere di fatto di “anomale immunità” giudiziarie.

Si dovrebbe intendere come certe persone abbiano ben compreso che basta, da un Paese straniero, intasare intenzionalmente la giustizia italiana (che si trova impossibilitata a decidere casi urgenti nazionali, in special modo nel Nord Est, e qui torniamo allo strano boom di passaporti facili) per ottenere, invece di una possibile irricevibilità delle pratiche (probabile qualora si istituissero degli auspicabili “filtri”), proprio il loro accoglimento. Questo succede a fronte di verifiche superficiali e affrettate che – in una situazione di non “serenità” in presenza di azioni “preordinatamente massive” – non possono approfondire, nella giusta misura, le pratiche in modo tale da respingere le richieste illegittime.

Per concludere (ma solo fino alla prossima puntata) andrebbe fatto, in un’ottica di trasparenza, un serio censimento e soprattutto attivata una “vigilanza pubblica”, in primis sulle molteplici agenzie di intermediazione, che si sono rafforzate negli anni, così come sulla legittimità di alcune forme di “pressione” su nostre funzioni amministrative e giudiziarie a salvaguardia anche della nostra sovranità nazionale. Strutture che – lo vogliamo sottolineare – non hanno altro fine se non l’ottenimento delle cittadinanze e dei passaporti italiani. Beni, sia chiaro, non propriamente ottenibili “ad ogni costo”.


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