Attualità

Brava Giraud ma poteva essere più coraggiosa

di Martina Melli -


Il primo film di Michela Giraud è finalmente nelle sale.
Flaminia – il titolo trascina subito la mente a Collina Fleming – attira sia i fan della stand up comedian che il pubblico in generale anche grazie al trailer giocoso e al poster dai colori rosati e brillanti. E invece forse quello è solo uno specchietto per le allodole, un pretesto per poter parlare di una storia che a Giraud sta molto a cuore, la propria. Il film racconta appunto di Flaminia, una ragazza di Roma nord che insegue la carriera accademica e che sta per sposarsi con un rampollo cocainomane di una famiglia snob ma economicamente decaduta. Il rampollo in questione, Edoardo Purgatori, è il figlio di Andrea Purgatori che compare nel film in un veloce cameo e in quella che probabilmente è la sua ultima apparizione sugli schermi. Flaminia invece proviene da una famiglia di “cafoni” arricchiti: il padre (Antonello Fassari) è un chirurgo plastico mentre la madre (una simpaticissima Lucrezia Lante della Rovere) è una donna dai nervi fragili che ha puntato tutto sull’apparenza e sulla scalata sociale della figlia. Ovviamente non potevano mancare tre amiche magre e perfide a coronare il quadretto. Al di là dei cliché comici – che non mancano – e delle scene al limite dello slapstick, il film entra abbastanza in fretta nel vivo, ovvero nel rapporto tra la protagonista – tutta shatush e vestiti firmati – e la sorella Ludovica (Rita Abela) affetta dalla sindrome di Asperger e appena uscita da una comunità. Ludovica – problematica, tutt’altro che glamour, spesso inopportuna, sovrappeso, libera e spontanea – atterra come un meteorite nella vita di Flaminia sconvolgendola. L’opera prima di Giraud, dedicata alla sorella Cristina a sua volta nello spettro dell’autismo, dopo un ironico inizio alla Vanzina, prende a delineare le grandi difficoltà di avere una persona del genere in famiglia e di doverla gestire, capire, arginare, amare malgrado tutto. Ludovica riuscirà a far tornare Flaminia in contatto con se stessa e con ciò che davvero conta nella vita: i legami affettivi e la sostanza oltre le forme. Rita Abela è davvero bravissima e dolcissima, ma anche Giraud possiede un registro drammatico convincente e a tratti commovente. Malgrado una sceneggiatura lacunosa e deludente (dalla comica mi sarei aspettata più di qualche sketch sparso qua e là) e il “vorrei ma non posso” che il lungometraggio lascia in bocca (non vuole essere solo risate e non vuole incentrare tutto sulla tematica dell’autismo) mi è piaciuta molto la verità e la delicatezza con cui Giraud mostra il rapporto tra le sorelle, senza ipocrisie da politicamente corretto né ricostruzioni edulcorate. Nonostante la presa di consapevolezza di Flaminia sia brusca e mal sviluppata, ho trovato molto bello, reale e doloroso, da spettatrice, essere messa di fronte al fastidio e alla rabbia che il personaggio prova nei confronti di una sorella che, semplicemente essendoci, rema contro quella perfezione tanto agognata.


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