Attualità

Brescia e la guerra dei veleni. Non c’è pace per la Caffaro adesso serve una nuova gara

di Ivano Tolettini -


Non c’è pace per i veleni della chimica a Brescia. A due anni dal sequestro dello stabilimento e dell’area inquinata ordinato dal gip, c’è bisogno di una nuova gara pubblica per bonificare la bomba ambientale Caffaro, dal 2003 “Sito di interesse nazionale” (Sin). Il commissario straordinario Mario Nova corre per rifare l’asta dopo che lo scorso a dicembre la commissione di valutazione ha escluso per inammissibilità l’unica offerta del raggruppamento temporaneo di imprese costituito da Greenthesis, Htr Bonifiche e Nico srl, che prefissava lo sconto sul prezzo d’asta dello 0,75 per l’appalto di quasi 62 milioni di euro. Il suo obiettivo è di arrivare all’affidamento dei lavori entro il primo semestre del 2023, anche se si tratta di un programma ambizioso visto che siamo già a marzo. I piani sono saltati, come ha spiegato il commissario per il Sin Nova, perché all’offerta era allegata una nota che poneva come condizione la revisione dei costi in seguito all’aumento dei prezzi nel corso del 2022 per effetto dell’inflazione. Poiché si tratta di «riserve e condizioni di criticità escluse dal disciplinare, oltre che dalle norme generali sugli appalti pubblici», la commissione aggiudicatrice ha chiesto un parere all’avvocatura dello Stato che lo scorso 17 novembre ha bollato l’offerta di inammissibilità.

INCHIESTA

Le indagini della procura di Brescia sono iniziate in seguito alle segnalazioni dell’Arpa nel giugno e settembre 2019 in cui rilevava “un innalzamento dei valori di cromo-esavalente e di mercurio nella falda acquifera sottostante la Caffaro”. A questi valori si è aggiunta un’eccedenza di “clorato”, una sostanza che mai era stata riscontrata fuori norma nella falda e, secondo il procuratore aggiunto Silvio Bonfigli e il sostituto Donato Greco, l’inquinamento è legato all’impianto di clorato di sodio gestito a partire dal 2011 dal gruppo di Donato Todisco. “È stata un’indagine molto complessa innescata avviata nel 2019 che parla al presente e dell’inquinamento in atto e non dello storico”, spiegò ai cronisti il procuratore aggiunto Bonfigli. Per il magistrato, che coordina il pool di investigatori composto anche dai carabinieri forestali, “c’è un aggravamento della situazione fino al tardo inverno 2019. Mentre noi parliamo, il cromo esavalente percola. Abbiamo visto il mercurio che galleggia sul suolo – aggiunse il magistrato – La situazione è inquietante. Bisogna intervenire per mettere in sicurezza la falda. Immediatamente. Poi si discuterà della bonifica”.

ARPA

All’inizio del 2021 i tecnici di Arpa avevano prelevato campioni da 5 piezometri tra via Morosini, campo Calvesi, via Rose e via Industriale (2 presso la Csb), in un raggio tra 150 e 200 metri dal sito Caffaro. Nel frattempo i piezometri sono diventati sette e sono stati scavati due nuovi pozzi per monitorare l’area con la barriera idraulica-Mise. “Se c’è stata una fuoriuscita – aveva spiegato Fabio Cambielli, direttore del dipartimento bresciano di Arpa – sono i primi ad intercettarla”. La verifica programmata rilevò la presenza di cromo VI in quantità da 10 a 15 volte maggiori dell’inquinamento “storico” nel sito Caffaro. Presente al campionamento Caffaro Brescia, la società in liquidazione del gruppo della chimica di base di Donato Todisco. Quest’ultimo, però, non è responsabile dell’inquinamento storico da Pcb (bifenili policlorurati). Arpa ai prelievi aveva invitato Caffaro srl in liquidazione, Caffaro Chimica srl, Snia spa, Livanova plc, Angiola srl di Donato Todisco, a cui il ministero dell’Ambiente aveva indirizzato l’ordinanza per il mantenimento della barriera idraulica, il cui scopo è di impedire l’incontro tra falda e suolo inquinato del sito industriale.

PROCESSO

I pm Bonfigli e Greco hanno chiesto il processo per dieci persone, a partire dall’industriale Donato, presidente della Caffaro Brescia in liquidazione e ad fino al 22 luglio 2016, quando gli subentrò Alessandro Quadrelli, pure lui all’udienza preliminare rinviata al 13 giugno prossimo. Rischia il giudizio pure il manager Alessandro Francesconi, consigliere delegato alle tematiche ambientali. Le accuse parlano a vario titolo di inquinamento ambientale e gestione incontrollata e omessa bonifica di rifiuti pericolosi, ma anche disastro ambientale per inquinamento da cromo esavalente e clorati, e per Todisco e Quadrelli di falso in bilancio. Nel 2011 gli impianti del cloro-soda furono rilevati dall’imprenditore toscano per 250mila euro, con l’impegno di bonificare lo stabilimento.

TRIBUNALE

“Con le loro condotte – scrive il gip due anni fa – procrastinando più volte gli interventi sollecitati dalle autorità di controllo e il ministero dell’Ambiente, gli indagati hanno sistematicamente cagionato una compromissione e un deterioramento significativo di estese porzioni di suolo e sottosuolo dello stabilimento Caffaro, contaminate da cromo esavalente con valori di gran lunga superiori alle normative, di 10-15 volte, nonché un aggravamento significativo del pregresso inquinamento da cromo VI in falda, con probabile fuoriuscita del pennacchio della contaminazione oltre il perimetro aziendale”. In aula davanti al gup Andrea Guerrerio, a giugno ci sarà pure l’ex commissario straordinario Roberto Moreni. L’accusa gli contesta l’inquinamento ambientale colposo, mentre è stata archiviato il disastro ambientale. All’udienza saranno presenti pure Vitantonio Balacco, Alfiero Marinelli e l’ex commissario Marco Cappelletto, noto avvocato veneziano specializzato in salvataggi aziendali. Al terzetto si contesta il deposito incontrollato di rifiuti e il mancato smaltimento. Invece, i vertici di Csa Alessandro Gasparini, Pietro Avanzi e Claudia Lucchiaro, avrebbero dichiarato il falso nella classificazione del prodotto dello smantellamento dei reparti. Il commissario Cappelletto precisava che : “Il ramo d’azienda del cloro soda è stato venduto dalla procedura fallimentare nel marzo 2011 alla Caffaro Brescia e da allora nulla si conosce delle vicende del sito . Nel 2015 è stato nominato un commissario straordinario all’ambiente. Inoltre, da anni la procedura fallimentare non ha alcun rapporto, né giuridico, né di fatto, con il sito industriale di Brescia, considerando che essa non era tenuta ad alcun obbligo di ripristino in materia di bonifiche”.

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