Attualità

Brescia sceglie il sindaco nelle elezioni al Veleno

di Ivano Tolettini -


Il disastro ambientale della Caffaro a Brescia al centro dell’inchiesta della magistratura arrivata alla prova dell’udienza preliminare, prevista il 13 giugno, surriscalda la scena politica a tre giorni dall’elezione del successore di Emilio Del Bono. Laura Castelletti e Fabio Rolfi, rispettivamente alla guida delle coalizioni di centrosinistra e centrodestra, hanno posto la questione ambientale in cima alle preoccupazioni dei cittadini che vogliono rappresentare. Il nodo del sito chimico di interessa nazionale diventato nel corso dei decenni un “carcinoma da estirpare” nel cuore della Leonessa d’Italia, per usare le parole ad effetto del Procuratore capo della Repubblica, Francesco Prete, tornerà a breve in Parlamento. Lo promettono i parlamentari Verdi Angelo Bonelli e Devis Dori che annunciano un’interrogazione al ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, il quale sabato scorso era in città per la campagna elettorale auspicando un sindaco di centrodestra per avere un interlocutore “più credibile” nell’affrontare la bomba ambientale che esala veleni mefitici su oltre 700 ettari di capoluogo e hinterland.
LA BONIFICA E I LAVORATORI
Nei giorni scorsi la Caffaro Brescia srl in liquidazione, che fa riferimento all’industriale pisano Donato Todisco, che ha gestito dal 2011 al 2020 l’impianto del “cloro-soda” e che è sul banco degli imputati perché si era impegnato all’atto della sottoscrizione del contratto d’affitto d’azienda a non aggravare il disastro, mentre per i pm è accaduto l’opposto e contestano a Todisco e i suoi manager il disastro ambientale, ha licenziato i lavoratori Maurizio Lo Preiato e Gino Angeli, rispettivamente elettrostrumentista e tecnico della sorveglianza, funzioni strategiche per la sicurezza del tumore ambientale. Alla vigilia del Primo Maggio la società che aveva annunciato l’avvio della procedura dei licenziamenti collettivi dei nove dipendenti, che attualmente sovrintendono al funzionamento della barriera idraulica per prevenire l’inquinamento attraverso il pompaggio dell’acqua dalla falda per impedire che entri in contatto con i terreni inquinati dai peggiori veleni, sono stati messi alla porta i due specialisti. “Un provvedimento inaccettabile – ha subito tuonato Patrizia Moneghini, segretaria generale di Filctem Cgil – perché i due licenziamenti sono ingiustificati in questo momento in cui si apre il percorso del ministero, tramite il commissario del sito, Mario Nova, per il subentro del nuovo soggetto nella gestione della barriera idraulica e presidio del sito”. Come è emerso negli scontri politici di questi giorni, in molti hanno ricordato che quando il gip Adriana Sabatucci il 9 febbraio 2021 ordinò il sequestro del sito e l’interdizione ad esercitare uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese nei confronti del co-amministratore Donato Todisco e dell’ad Alessandro Quadrelli, mise in luce che quando fu rilasciata alla Caffaro Brescia l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) nel 2011, aggravata da più restrizioni nel 2015, la società si era impegnata a proseguire nell’attività chimica di base a condizione che “attraverso l’implementazione e il mantenimento in efficienza del Mise”, fosse garantito il contenimento del disastro ambientale nel Sin e il non aggravamento dell’inquinamento con la creazione di nuove sorgenti di rifiuti dannosi per l’ambiente. In realtà, secondo le analisi condotte dall’Arpa bresciana sarebbe avvenuto l’opposto tanto che i livelli di Pcb nel biennio 2019-2020 sono risultati del 500% superiori al limite consentito.
ESTENSIONE DEL CANCRO
Dalle indagini scaturisce la rilevanza della dimensione dell’inquinamento che risulta fino a 20 chilometri dall’area storica tra le vie Milano e Nullo di Brescia esponendo la cittadinanza “al pericolo di danni permanenti per la salute dei soggetti che risiedono a sud dello stabilimento”. Al vaglio del gip Andrea Guerrerio ci sono le posizioni di nove imputati che rispondo a vario titolo del grave inquinamento che negli ultimi giorni di campagna elettorale ha visto Rolfi attaccare a palle incatenate il centrosinsitra che ha guidato la città con Emilio Del Bono dal 2013. “In dieci anni abbiamo visto tanti rendering – afferma – e tante parole ma siamo al punto di partenza. Anzi, la situazione è vicina allo sblocco dei lavori perché si sono trovati i fondi mancanti grazie al centrodestra”. Gli ha replicato lo stesso Del Bono per il quale “Caffaro è un sito di interesse nazionale di competenza del ministero per l’Ambiente, ma l’amministrazione in tutti questi anni ha lavorato costantemente per aumentare i fondi a disposizione, che sono passati da 6 a 90 milioni”. Una delle questioni, sollevata da più parti, che l’azienda Caffaro Brescia nel momento in cui prendeva in affitto lo stabilimento sapeva bene quali erano le problematiche perché Todisco fin dal 2008 era socio di Snia, che all’epoca aveva in pancia la Caffaro, tanto che dal 2011 si era formalmente impegnato a gestire il sistema dei sette pozzi di emungimento dell’acqua di falda. Quindi quando dal 2015 la gestione era diventata più complessa per via delle restrizione dell’Aia, aveva puntato le sue mire su Bussi sul Tirino in Abruzzo dove aveva rilevato da Solvay un impianto gemello di quello di Brescia, ricevendo 15 milioni a fondo perduto da Invitalia (lo Stato) per la realizzazione di un altro stabilimento. “Ma chi inquina paga”, sottolineano i magistrati, che da Todisco e i suoi manager avevano ottenuto l’assicurazione lo scorso novembre – quando l’udienza venne spostata a giugno – del completamento del rinforzo della barriera idraulica con la creazione di altri due pozzi, che però non sono stati ancora completati del tutto. Nel frattempo, i costi energetici per il pompaggio dell’acqua sono cresciuti a dismisura, arrivando a 250 mila euro mensili, e si spiega perché Caffaro Brescia ha tolto le ancore. Mentre infuria la battaglia politica per il nuovo sindaco.


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