Bronte, il sangue della rivoluzione e l’ombra di Horatio Nelson
Tra le pieghe epiche dello sbarco dei Mille che portò all’unificazione italiana, si nasconde una pagina oscura e drammatica: la feroce repressione dei moti popolari di Bronte, piccolo centro alle pendici dell’Etna, teatro di uno scontro tra il sogno di libertà dei contadini e il peso secolare del potere feudale. Una vicenda in cui aleggia, paradossalmente, il nome di Horatio Nelson, eroe di Trafalgar, morto ben 55 anni prima. Ma mettiamo ordine nella storia. Quando nel 1860 Garibaldi sbarca a Marsala, la Sicilia intera è un vulcano in eruzione. Non solo politicamente, ma socialmente. I contadini, stremati da secoli di miseria e sfruttamento, vedono nei Mille l’occasione per un cambiamento radicale: la fine del latifondo e la redistribuzione delle terre. Un’illusione, forse, ma ardente come la lava che scorre sotto la loro terra. A Bronte, la rabbia popolare esplode con violenza. Le rivendicazioni sociali si mescolano al furore contro una gestione feudale che appare insostenibile. E qui entra in scena la Ducea di Nelson, enorme tenuta di 25mila ettari che il re Ferdinando I di Borbone aveva donato all’ammiraglio inglese nel 1799 in segno di gratitudine per il sostegno militare. Ma Horatio Nelson, l’eroe di Abukir e di Trafalgar, morto nel 1805, non ha nulla a che vedere con quanto avvenne a Bronte nel 1860. Dopo la sua morte, la gestione della Ducea passò nelle mani del reverendo William, fratello dell’ammiraglio, esautorando del tutto Emma Hamilton e la figlia Horatia, per volere della famiglia Nelson e della Corona inglese. Una scelta dalle conseguenze tragiche. I nuovi “padroni” della Ducea, piccolissimi borghesi trapiantati in Sicilia, incapaci di cogliere le dinamiche locali e guidati da una visione arrogante e feudale del potere, gestirono il vasto territorio con un misto di presunzione e incompetenza. Invece di creare legami con la popolazione, si comportarono come feudatari fuori tempo massimo, alimentando un risentimento crescente tra i brontesi. Quando la sommossa scoppiò, le reazioni non si fecero attendere. I parenti di Nelson, incapaci di contenere la rivolta e terrorizzati da un esproprio, si rivolsero direttamente al governo britannico. E qui si innesta il nodo politico: il Regno Unito, che aveva appoggiato sia la causa sabauda che l’impresa garibaldina per motivi strategici, non poteva permettere che le sue proprietà fossero messe in discussione. Fu dunque esercitata una pressione su Garibaldi affinché “risolvesse il problema”. Il generale rispose inviando a Bronte uno dei suoi ufficiali più spietati e controversi: Nino Bixio col compito di stroncare la rivolta e ristabilire l’ordine. Bixio lo fece con brutalità, senza tentativi di mediazione. L’arrivo delle truppe garibaldine segnò la fine della speranza per gli insorti. In pochi giorni furono giustiziati i presunti capi della rivolta e la repressione lasciò un segno indelebile nella memoria. È importante sottolineare come l’intervento di Bixio non rappresentasse un’eccezione, ma rientrasse in un contesto più ampio. In tutta la Sicilia nel 1860 si verificarono sommosse contadine, nate dall’idea che la cacciata dei Borbone avrebbe portato alla fine del latifondo. Tuttavia, contrariamente a quanto avvenne a Bronte, la nobiltà siciliana seppe gestire la situazione con diplomazia, contenendo le rivolte e garantendo il ritorno alla stabilità. In altre parole, laddove il potere era esercitato con intelligenza si evitò il sangue. La tragedia di Bronte, dunque, non fu solo il risultato della repressione militare, ma l’esito di una frattura insanabile tra una popolazione povera e sfruttata e una classe dirigente mal preparata al governo di una terra tanto complessa. E fu anche il fallimento di una promessa: quella di una rivoluzione che avrebbe dovuto portare libertà e giustizia, ma che spesso si tramutò in restaurazione sotto nuove vesti. È fondamentale separare le responsabilità. Nelson non ha colpe in questa vicenda, che vanno cercate tra i discendenti che pensarono di poter comandare su una terra che non conoscevano. La storia, a volte, ha una strana ironia: un eroe dei mari, che sconfisse Napoleone e morì per l’Inghilterra, viene associato a una strage dimenticata in Sicilia. Ma proprio per questo, è doveroso raccontare tutta la verità.
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