Brunetta: “Ora serve una politica dei redditi”
RENATO BRUNETTA MINISTRO PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Il “carrozzone” va avanti da sé. Finita l’era Treu, ecco che arriva alla presidenza del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro, altrimenti noto come Cnel, l’ex ministro Renato Brunetta. Che ha esordito, nella nuova veste, alla presentazione del nuovo libro di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. Brunetta ha parlato di politica dei redditi, di ridare slancio alla contrattazione collettiva evocando il coinvolgimento dei lavoratori “ai destini delle imprese”. Organizzazione e partecipazione, come si impone anche in Europa mentre in Italia solo a evocare scenari simili si passa per le forche caudine delle accuse di neo-corporativismo. “Per contrastare l’inflazione serve una politica dei redditi. La contrattazione collettiva deve essere centrale nella definizione della politica economica. Per transitare dal vecchio mondo dei salariati, in perenne bilico sul nulla della disoccupazione o della precarietà, a un sistema con piena ed efficiente allocazione dell’occupazione, occorre oggi percorrere l’ultimo miglio che ci separa dalla costruzione di una nuova civiltà del lavoro, innestando logiche di condivisione e partecipazione dei lavoratori nei destini dell’impresa”.
Brunetta ha poi parlato del tema dei temi ossia del “ritorno dell’aumento a doppia cifra del livello generale dei prezzi” che è “un evento che non si era mai verificato dalla nascita dell’euro ed è coinciso con due drammatici eventi della storia moderna: la fine della pandemia e lo scoppio della guerra in Ucraina”. Per il nuovo presidente del Cnel: “Rincorrere l’inflazione, come fatto negli anni Settanta e Ottanta con meccanismi automatici di indicizzazione salariale, non è una politica corretta, ed è una scelta impopolare. Eppure, proprio una scelta del genere permette di mettere l’economia nelle condizioni di ridurre più velocemente l’inflazione, con tutti i conseguenti benefici”. Ma non è così semplice, e il presidente del Cnel afferma: “L’attualità economica mette i banchieri centrali nuovamente di fronte al dubbio amletico di decidere cosa è meglio e cosa è peggio per la società: l’elevata inflazione o una recessione? d è sempre Visco a ricordarci che le perdite di competitività non dovrebbero mai essere corrette da interventi della politica monetaria e dei rapporti di cambio ma da politiche dal lato dell’offerta volte ad aumentare il livello di produttività di un paese, l’unica condizione che può permettere un aumento dei salari sostenibile nel tempo”.
Per Brunetta è arrivato il tempo di una “vera rivoluzione culturale” e che deve partire dal “credere che l’Italia abbia nel suo invidiabile settore privato, il famoso Made in Italy, una ricetta naturale per la sua crescita, in presenza di una classe politica lungimirante che punti a creare un ambiente dove questo possa esprimere tutto il suo potenziale, invece che ricorrere continuamente al costosissimo interventismo statale, che, almeno a livello storico, ha lasciato in dote ai giovani di domani quasi tremila miliardi di euro di debito”.
Brunetta ha poi parlato del tema dei temi ossia del “ritorno dell’aumento a doppia cifra del livello generale dei prezzi” che è “un evento che non si era mai verificato dalla nascita dell’euro ed è coinciso con due drammatici eventi della storia moderna: la fine della pandemia e lo scoppio della guerra in Ucraina”. Per il nuovo presidente del Cnel: “Rincorrere l’inflazione, come fatto negli anni Settanta e Ottanta con meccanismi automatici di indicizzazione salariale, non è una politica corretta, ed è una scelta impopolare. Eppure, proprio una scelta del genere permette di mettere l’economia nelle condizioni di ridurre più velocemente l’inflazione, con tutti i conseguenti benefici”. Ma non è così semplice, e il presidente del Cnel afferma: “L’attualità economica mette i banchieri centrali nuovamente di fronte al dubbio amletico di decidere cosa è meglio e cosa è peggio per la società: l’elevata inflazione o una recessione? d è sempre Visco a ricordarci che le perdite di competitività non dovrebbero mai essere corrette da interventi della politica monetaria e dei rapporti di cambio ma da politiche dal lato dell’offerta volte ad aumentare il livello di produttività di un paese, l’unica condizione che può permettere un aumento dei salari sostenibile nel tempo”.
Per Brunetta è arrivato il tempo di una “vera rivoluzione culturale” e che deve partire dal “credere che l’Italia abbia nel suo invidiabile settore privato, il famoso Made in Italy, una ricetta naturale per la sua crescita, in presenza di una classe politica lungimirante che punti a creare un ambiente dove questo possa esprimere tutto il suo potenziale, invece che ricorrere continuamente al costosissimo interventismo statale, che, almeno a livello storico, ha lasciato in dote ai giovani di domani quasi tremila miliardi di euro di debito”.
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