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“Bruxelles stracciona”: immunità a Salis, l’Europa ha perso la faccia

Il 7 ottobre il voto della plenaria sulla revoca

di Angelo Vitale -


“Bruxelles stracciona”: l’Europa ha perso la faccia. L’esito della riunione della Commissione Affari Giuridici del Parlamento europeo sulla revoca dell’immunità dell’eurodeputata Ilaria Salis è stato deciso per appena un voto di differenza: 13 contrari e 12 favorevoli. Salis manterrà la protezione parlamentare rispetto all’accusa di aggressione a militanti neonazisti avvenuta in Ungheria nel 2023, prima della sua elezione.

Immunità per Salis, gli “accordi segreti” della “Bruxelles stracciona”

Un episodio che mette una seria ipoteca sul residuo prestigio delle istituzioni europee, se già da giorni circolava non solo una formale interpretazione del funzionamento della Commissione Juri chiamata ad esaminare elementi oggettivi, ma pure il quadro nel quale il voto segreto è stato espresso, condizionato dal concomitante esame di altri quattro casi relativi a parlamentari vicini alle sinistre europee o allo stesso Ppe che è risultato, sia pur diviso, l’ago della bilancia di questo primo verdetto. C’era infatti da decidere anche sulla revoca dell’immunità dell’ungherese Péter Magyar, oppositore di Orban e già in Fidesz, partito da destra ora entrato nel Ppe.

Mentre ieri c’era chi addirittura immaginava che i componenti di Juri abbiano tenuto in conto i loro prossimi impegni, quando dovranno esaminare gli europarlamentari coinvolti nell’Huaweigate e nelle sue diramazioni. Un quadro di “scambio di favori”, di accordi trasversali, segreti e sottobanco che, proponendo una “Bruxelles stracciona” fa impallidire il ricordo dello scandalo che i leghisti suscitarono in Italia gridando alla “Roma ladrona”.

La plenaria del 7 ottobre

Una situazione nella quale, il 7 ottobre, quando l’Assemblea plenaria dell’Europa dovrà tornare a votare sulla revoca dell’immunità a Ilaria Salis, a rischio non sarà soltanto la sua situazione legale, inseguita dalla richiesta di Budapest a tornare a giudicarla, ma lo stesso ruolo e la dignità del Parlamento europeo.

Una istituzione, fin dalle recenti elezioni per il suo rinnovo e dalla riconferma di Ursula von der Leyen a presidente, che si mantiene in un precario equilibrio di numeri. E che ogni volta, specialmente quando è stata chiamata dopo laboriose consultazioni preventive, ad adottare misure che intervenissero su temi fondamentali per le sorti e l’identità dello scacchiere geopolitico del continente, ha scelto soluzioni rabberciate, ispirate alla massima cautela e contrassegnate quasi sempre da azioni suscettibili di essere rinviate o rimodulate. Il Ppe è l’emblema di questo agire, composto da partiti e formazioni che, negli Stati membri, sono spesso sensibili – pur militando in schieramenti di centrodestra – ai temi sensibili alle sinistre che possono in qualche modo preservarne la coscienza moderata.

Anche il caso del voto di Juri di martedì ne è stato la prova. Evidenziando, peraltro, un nervo scoperto – il rapporto conflittuale dell’Europa con l’Ungheria – che rimane sostanzialmente irrisolto. Se, come è avvenuto, i componenti delle sinistre europee presenti nella Commissione Affari Giuridici hanno avuto buon gioco a ricordare ai più riottosi membri del Ppe le violazioni dello Stato di diritto nel Paese guidato da Viktor Orbán trascurando i gravi reati di cui Ilaria Salis è accusata di aver commesso prima che Avs la candidasse al Parlamento europeo, ciò è anche avvenuto perché motivi politici, commerciali e strategici, fuorché quelli che necessiterebbe muovere per valutare uno Stato di diritto, hanno permesso in questi anni – anche allora si è parlato di “accordi segreti” – di scongelare i fondi che l’Europa aveva bloccato a
Viktor Orbán.

Nel dicembre 2023, poco prima di un importante vertice Ue, la Commissione europea sbloccò circa 10,2 miliardi di euro di fondi congelati per l’Ungheria in un momento in cui Viktor Orbán aveva tolto il suo veto sul pacchetto di aiuti all’Ucraina da 50 miliardi di euro. Per non perdere la faccia, contarono allora pressioni politiche e un Parlamento europeo che fatica sempre a mantenere coerenza e fermezza.

Contò l’importanza strategica commerciale e geopolitica dell’Ungheria nell’Europa centrale, il ritenerlo un partner chiave nelle dinamiche economiche e politiche regionali anche se un alleato difficile, che usa la sua posizione per ottenere concessioni, senza cambiare sostanzialmente le sue politiche nazionali, poi dagli stessi che gli consentono manovra definite autoritarie.

Il 7 ottobre, la plenaria del Parlamento Ue dovrà definitivamente decidere la sorte di Ilaria Salis. Per prassi, adeguandosi al voto di ieri. O forse, adottando qualche espediente per rinviare la sua scelta o valutarne una diversa interpretazione. Anche quel giorno, c’è da esserne certi, conteranno gli “accordi segreti”. Il contrario della democrazia a parole da tutti affermata.


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