Economia

Decreto crescita, il calcio indebitato non si gioca senza “stranieri”?

di Giovanni Vasso -

Inter Milan’s Lautaro Martinez kicks a penalty during the Italy Cup round of 16 soccer match between Fc Inter and Bologna at Giuseppe Meazza stadium in Milan, Italy, 20 December 2023. ANSA / MATTEO BAZZI


Non sarà la fine del mondo, tantomeno del calcio in Italia, lo stop agli sgravi fiscali del decreto Crescita decisi dal governo nei confronti delle società che acquistano giocatori dall’estero. Eppure i club e la Lega di Serie A suonano il de profundis per la pedata tricolore. Dicono che senza quegli “sconti” sarà difficile ingaggiare nuovi campioni, sarà impossibile mantenere il passo dei grandi club e dei campionati più titolati, sarà inevitabile assistere al declino (anche in termini economici e dunque di incassi fiscali) del calcio italiano. Viceversa, l’Aic, il sindacato dei calciatori, incassa con soddisfazione la scelta del governo. “Finalmente – ha spiegato Stefano Calcagno presidente Aic – i calciatori italiani e quelli stranieri potranno competere sullo stesso piano”.
La notizia, trapelata nella serata di giovedì scorso, ha innescato l’ira dei presidenti e delle società. La Lega di Serie A, in una nota, s’è detta stupita e preoccupata, ha tacciato il governo di demagogia e populismo, rimproverandogli di non riuscire a vedere, nel calcio, un comparto industriale importante che contribuisce, e non poco, all’economia nazionale. Ha fatto appello al Parlamento, sperando che possa ribaltare la scelta dell’esecutivo. Tra i più arrabbiati c’è Beppe Marotta, amministratore delegato dell’Inter che, come ha rivelato l’analisi del commercialista omonimo Luca Marotta, annaspa in un mare di debiti: 807 milioni. “Nel momento in cui il calcio italiano sta risalendo la china nel ranking – ha detto ai microfoni di Sky Sport -, dove tre squadre l’anno scorso hanno disputato le finali europee, e che due club saranno al Mondiale per Club, l’abolizione del Decreto Crescita è un autogol per il mondo del calcio e per l’economia del Paese”. E ancora: “L’agevolazione fiscale rappresentava uno strumento per facilitare l’ingresso in Italia di giocatori di chiaro interesse, adesso è un handicap, e il danno prodotto sarà irrimediabile, anche per l’indotto che il calcio riesce a produrre”. Furioso anche Claudio Lotito che, nonostante gli sforzi profusi da parlamentare, non è riuscito a spuntarla: “Bella e grande fesseria che è stata fatta”, ha tuonato a caldo, “vedranno che cavolo di errore è stato fatto”. Poi il presidente della Lazio si lancia in una citazione che sembra strizzare l’occhio a La Palisse: “Non va bene così anche perché lo Stato non incassa i soldi e se tu hai uno straniero che paga le tasse in Italia sarà meglio di uno che non viene e non le paga no?”. Meno preoccupato, invece, l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri che, nella conferenza stampa in vista della sfida tra i bianconeri e la Roma, si è detto sereno e tranquillo perché: “La Juve fortunatamente ha lavorato in un certo modo nei dieci anni precedenti, quindi ha un patrimonio in chiave futura per quanto riguarda i giovani”. Insomma, saranno giorni durissimi. In cui ognuno sparerà le cartucce che gli rimangono. Ma sarà opoi vero che senza calciatori stranieri il pallone in Italia rischia di fare una brutta fine?
Qualcuno, s’è preso la briga di andarli a contare i “campionissimi” stranieri che sono stati richiamati in Italia grazie al Decreto Crescita. A parte qualche nome, tipo Lukaku, ce ne sono (almeno) 105 che il campo l’hanno visto con il contagocce. Panchinari, nella migliore delle ipotesi. Spettatori non paganti e stipendiati in tribuna vip. Gente ingaggiata, qualcuna addirittura con l’ausilio dell’algoritmo, praticamente solo per far numero. Spendendo meno sugli stipendi lordi, grazie alla tassazione di favore riconosciuta dal decreto Crescita, di quello che si spenderebbe ingaggiando un italiano. Eppure, anche così, il calcio italiano annaspa nei debiti e non vince nulla. Il caso Inter, che nella sua stagione più luminosa con l’approdo in finale di Champions League ha maturato più di 85 milioni di perdite, è paradigmatico. È sostenibile il modello di business del pallone? Sarà davvero uno sconto fiscale in meno a far crollare il castello di carte su cui si reggono le sorti dello sport più amato e più praticato, in un Paese come l’Italia che, dopo aver cannato per due volte di seguito la qualificazione ai mondiali, pare che nessuno sappia più giocare a pallone?


Torna alle notizie in home