Politica

Calderoli: “Ma l’autonomia non deve punire i territori”

di Ivano Tolettini -


Ministro per la terza volta, Roberto Calderoli agli Affari regionali e autonomie vuole imprimere finalmente un passo spedito al federalismo. Un obiettivo che spaventa i governatori e buona parte dell’opinione pubblica del Sud. Anche se Calderali si affretta a ripetere di non volere muoversi in un’ottica di scontro Nord-Sud, che non conviene a nessuno, quanto di assunzione di responsabilità a tutti i livelli per coinvolgere in un disegno centripeto uno stato-nazione che dopo 161 anni ha bisogno di mettere mano al centralismo, che è all’origine di tante inefficienze da superare. Ma l’automonia differenziata a trazione leghista e il presidenzialismo di Fratelli d’Italia riusciranno a sbocciare in un disegno riformatore senza spaccare la maggioranza, ma prima ancora il Paese? Tanto più, ed è un altro particolare sul quale riflettere, che FdI ha conseguito i risultati elettorali migliori in Veneto e Lombardia. “Credo nell’autonomia e nel federalismo per migliorare la vita dei tutti italiani, non a quelli del Nord a danno di quelli del Sud”, ha più volte ripetuto di recente il 66enne bergamasco Roberto Calderoli. Rispetto alle smargiassate di un tempo – ricordate quando dovette dimettersi nel 2006 per essersi mostrato alle telecamere con una maglietta raffigurante Maometto o quando propose il Maiale-Day per passeggiare con un suino sul terreno dove a Bologna avrebbe dovuto essere costruita una moschea? -, si è dato una bella calmata. Vi hanno influito l’età e un cancro dal quale è guarito, e che hanno modificato la traiettoria del suo stile, che un tempo in troppe circostanze era ben al di sopra delle righe. E un tantino macchiettistico per un uomo delle istituzioni. Ricordate anche quando definì “una porcata” la legge elettorale del 2005 a lui intestata, e che un maestro della Scienza della politica come Giovanni Sartrori ribattezzò “porcellum”? Era venuta dopo il “mattarellum” e da allora si proseguì col latinorum fino al “rosatellum bis”. Anche perché il chirurgo maxillo-facciale nato in una famiglia di agiati dentisti, è un professionista della politica tra i più competenti in materia di regolamenti, diritto e riforme. Passando da convinto sostenitore dei magistrati di Mani Pulite, che facilitarono la scalata della Lega al potere nel 1994, a fervente fautore del referendum sulla giustizia lo scorso giugno. Una sorta di giustizialista pentito.
Sabato scorso, nel quinto anniversario del referendum sull’autonomia che si tenne in Veneto e Lombardia e al quale risposero milioni di persone, Calderoli con pacatezza ha ricordato che comunque in questi anni il processo riformatore è andato avanti e si tratta di trovare una sintesi – la famosa quadra bossiana – in uno scenario di collaborazione nazionale. Egli al telefono nel fine settimana ha già parlato con quasi tutti i presidenti di Regione, dall’altoatesino Arno Kompatscher per una verifica sullo stato dell’autonomia a Bolzano, al toscano Eugenio Giani che incontrerà giovedì a Roma.

“Non appena il governo avrà ricevuto la fiducia da parte delle Camere, inizierò una serie di incontri con le delegazioni di tutte le Regioni”, affermava ieri pomeriggio il ministro, consapevole di un ruolo tutt’altro che facile perché è tra l’incudine nordista e il martello sudista, col rischio di uscirne con le ossa rotte. Così se da una parte il veneto Luca Zaia gli manda a dire che non ci sono “più alibi per l’autonomia piena delle 23 materie in caso contrario si dovrà cambiare la Costituzione”, il campano Vincenzo De Luca gli replica a stretto giro di posta che così il Meridione rischia di essere cancellato.

Il deputato salviniano Massimo Bitonci qualche giorno fa ha detto che Zaia sbaglia a chiedere l’autonomia (o la devoluzione come la chiamava Calderoli nel 2004), per tutte 23 le materie, perché bisogna essere più gradualisti, come Emila Romagna e Toscana. È la stessa linea del Pd veneto. Come si collocherà il ministro in questo dibattito tutt’altro che ozioso perché è scolpito nella carne viva del suo stesso partito reduce dalla batosta elettorale, ed è a un bivio perché la Lega sull’autonomia ha costruito le sue fortune al Nord per vent’anni, ma che se neppure stavolta la portasse a casa in una coalizione blindata di centrodestra rischierebbe di scrivere il proprio de profundis? Tanto più che la collega di partito Erika Stefani nel Conte 1 sull’autonomia aveva predisposto le architravi della riforma. “La prima volta che cercai di standardizzare la spesa fu nel 1994 nella legge di stabilità. Allora non ne parlava nessuno – ha ricordato – . Poi sono ripartito con i costi standard e con la spesa storica per realizzare i costi standard e i fabbisogni standard. A quel punto ognuno verificherà l’efficienza delle proprie capacità amministrative. La riforma federalista dello Stato non deve punire i territori, ma aiutarli a crescere. Sarà un percorso virtuoso per migliorare l’Italia tutta”.


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