Attualità

Cancro miliardario

di Ivano Tolettini -


Un cancro ambientale nei tre siti della chimica di base di interesse nazionale dell’ex Snia a Brescia, Torviscosa e Colleferro stimato in danni per 3,4 miliardi di euro. E quello più grave è nel cuore della Leonessa d’Italia. È la metafora con cui il procuratore capo di Brescia, Francesco Prete, definisce l’inquinamento della Caffaro, i cui impianti sono situati in una zona centrale del capoluogo, in via Nullo, e che sono gestiti dal 2011 dalla Caffaro Brescia srl presieduta da Donato Antonio Todisco. Quest’ultimo, assieme ad altre nove persone, rischia il processo per disastro e inquinamento ambientali, omessa bonifica di rifiuti pericolosi e falso in bilancio, reati contestati a vario titolo. La prosecuzione dell’udienza preliminare sarà a giugno perché nel frattempo dev’essere completata la messa in sicurezza del sito industriale, sequestrato dal febbraio 2019, con la posa della protezione idraulica. La difesa di Todisco ha informato il gup che i lavori sono già al 90% . Ed a proposito di danni ambientali in questi giorni la Cassazione civile ha depositato l’ordinanza interlocutoria che rinvia alla Corte di giustizia europea l’interpretazione di una norma del codice di procedura civile relativa al ricorso di Livanova PLC (ex Sorin spa) contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano che l’ha condannata a rifondere i gravissimi danni ambientali causati dalle società che fino al 2004 erano riconducibili al Gruppo Snia, con sede a Brescia, Torviscosa (Udine) e Colleferro (Roma), quantificati in 453 milioni di euro. La multinazionale ha depositato la maxi cauzione. Di questi ben 156 milioni sono per capitale fruttifero da restituire alla società responsabile qualora “le concentrazioni di contaminanti nei relativi acquiferi fossero scese sotto i limiti di legge” per effetto dei lavori di bonifica. Ma la presidenza del Consiglio, il ministero dell’Ambiente e il ministero dell’Economia hanno quantificato il danno per il disastro in 3,4 miliardi.
La questione di fondo è che la bomba ambientale non è ancora stata disinnescata, come dimostra l’inchiesta di Brescia che ha sequestrato l’area industriale e 7 milioni di euro riconducibili a Caffaro Brescia srl, adesso messa in liquidazione. Non solo, la consulenza tecnica d’ufficio ordinata dalla Corte d’Appello ha risposto al quesito su quali fossero le condizioni dell’inquinamento dei tre siti di Brescia, Torviscosa e Colleferro al momento della scissione societaria del 2 gennaio 2004, in seguito alla quale da Snia era sorta Sorin, diventata nel 2015 Livanova PLC, e com’è la situazione attuale con i relativi onerosissimi costi. Mentre a Torviscosa e Colleferro i periti tranquillizzano le popolazioni perché dopo il 2004 non si è assistito ad alcun incremento significativo della contaminazione, per il sito di Brescia, che dopo il 2011 è stato gestito da Todisco, la situazione è più grave.“Un incremento si è avuta pur dopo il 2004 di ulteriori sorgenti primarie di contaminazione (e in particolare di mercurio) attive fino ad oggi”. Sia per la condotta illecita di Snia prima della scissione del 2004 che – si legge in sentenza – “per l’ incuria nella gestione attuale e passata dell’ex area produttiva, legata ad attività precedenti al 2004” che includevano l’utilizzo del mercurio. Tuttavia, come le indagini dell’Arpa di Brescia hanno messo in rilievo “le sorgenti di contaminazione (in particolare di mercurio) sono dovute” anche “all’incuria nella gestione attuale”. Così si spiega l’ulteriore accelerazione investigativa a fine inverno 2021 nei confronti di Caffaro Brescia e degli amministratori Donato Antonio Todisco, Alessandro Quadrelli, Alessandro Francesconi e Vitantonio Balacco, perché nonostante i finanziamenti pubblici erogati, le allarmate prese di posizioni di parlamentari (con interrogazioni) e di associazioni, “il cancro ambientale in mezzo a Brescia” resta. E con l’avvio del processo Codacons, Comune e ministero dell’Ambiente potranno costituirsi parte civile.


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