Carlotta Parodi: “Le mie sabbie mobili crude e realistiche”
“Bellissimo se anche solo una donna, guardando il film, si sentisse meno sola”
Carlotta Parodi: “Le mie sabbie mobili crude e realistiche”
Ha emozionato il numeroso pubblico del New York Film Festival grazie all’intenso ruolo di Vera nel film Sabbie Mobili. Carlotta Parodi, dopo la complessa prova d’attrice nei panni di una donna spezzata dalla depressione post-partum, attualmente sta lavorando a The Stray Beauty, un lungometraggio ispirato a una storia vera ambientata tra Genova e New York. E a L’identità racconta la sua fortunata recente esperienza americana.
Hai presentato al New York Film Festival l’opera Sabbie Mobili. Di cosa parla questo film?
Sabbie Mobili, diretto da Andrea Antonio Vico, è un film crudo e realistico. Racconta la storia di Vera, una giovane madre che precipita nel vortice della depressione post-partum. Non cerca consolazione o retorica: è un viaggio nel buio, dove anche la verità più scomoda diventa luce. Abbiamo voluto raccontare una condizione spesso invisibile, nascosta dietro il mito della maternità perfetta.
È stato uno straordinario obiettivo raggiunto per una pellicola attraversare l’oceano…
Non era la prima volta che Sabbie Mobili attraversava l’oceano: l’opera era già stata selezionata e aveva vinto in oltre sette festival negli USA, ed è arrivata finalista al Flickers’ Rhode Island International Film Festival, Oscar Qualifying, tra i più prestigiosi al mondo. Eppure, ogni volta è un’emozione. Non mi aspetto applausi, ma ascolto. Sarebbe bellissimo se anche solo una donna, guardando il film, si sentisse meno sola. L’arte, in fondo, dovrebbe servire proprio a questo.
Il tuo ruolo rappresenta milioni di casi che non hanno il clamore mediatico e raccontano della depressione post-partum. Come ti sei preparata a questo ruolo?
Ho parlato con molte madri che hanno vissuto questo dolore. Alcune non avevano mai trovato il coraggio di raccontarlo. Mi hanno donato qualcosa di
prezioso: la loro fiducia. Ho cercato di restituirla con rispetto e verità. Il film non giudica: osserva, accompagna, racconta.
Avendo interpretato un ruolo delicatissimo, quali potrebbero essere secondo te gli strumenti per affiancare le donne che vivono questa problematica?
Credo servano ascolto, presenza e formazione. Le donne non devono sentirsi sbagliate, né sole. Servono professionisti preparati nei consultori, nei reparti maternità, e una rete che includa anche il territorio. Ma serve anche cultura: parlarne nei film, nei libri, nelle scuole. Più si racconta questa realtà, meno sarà un tabù e più sarà possibile intervenire davvero, combattendo lo stigma.
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