Giustizia

Caso Ramy, possibile ipotizzare l’omicidio stradale durante un inseguimento?

di Giuseppe Ariola -


Il caso Ramy e l’indagine a carico del carabiniere alla guida della gazzella riaccende il dibattito su uno scudo per le forze dell’ordine

Ogni singola morte violenta è un dramma. E tale resta a prescindere che la vittima sia una persona per bene o un delinquente. Ciononostante, non è necessariamente detto che ci sia sempre e comunque un colpevole o che quella che è tecnicamente la responsabilità di chi causa una morte abbia rilevanza penale. Eppure, evidentemente non tutti la pensano così, neanche chi leggi e codici li maneggia abitualmente. E il caso del carabiniere del caso Ramy finito nel mirino della magistratura perché accusato di omicidio stradale lo conferma, benché sia pacifico che l’impatto tra i due veicoli coinvolti non sia stato causato da uno speronamento, ma sia avvenuto in modo accidentale sebbene in un contesto di un’operazione di pubblica sicurezza. Una premessa è d’obbligo: la contrapposizione tra innocentisti e colpevolisti qui non c’entra nulla e, al massimo, la discussione riguarda – ancora una volta – il garantismo o meno del sistema giudiziario, ovvero quell’insieme di norme e principi atti ad assicurare a chiunque di non finire nei guai per ragioni che nulla hanno a che vedere con il mancato rispetto delle leggi. Poi, per carità, gli errori capitano, anzi, purtroppo, le cronache giudiziarie ne sono piene. Ciò posto, una domanda sorge spontanea: quale è l’obiettivo di un inseguimento operato dalle forze dell’ordine? Dare luogo a una gara su un circuito cittadino improvvisato, spronare chi fugge a farlo in modo più veloce così da dileguarsi o provare a fermare chi è sospettato di aver commesso una violazione e scappando ne sta commettendo un’altra? Partendo dal presupposto che le forze dell’ordine hanno l’obbligo di intervenire per interrompere la commissione dei reati, appare evidente che il fine di un inseguimento è quello di fermare un sospettato. Altrettanto ovvio è che nel corso di una corsa a tutta velocità su un percorso urbano il rischio di incidente è altamente probabile per qualsiasi dei veicoli coinvolti. E proprio come accade per i normali incidenti, anche in questi casi, purtroppo, può scapparci il morto. Quello che cambia rispetto ai normali sinistri stradali è che in questi casi vengono accertate delle violazioni al codice della strada e, di conseguenza, le responsabilità dei conducenti. Durante gli inseguimenti, invece, come è ovvio, al pari di quanto accade in tutti i casi in cui si è chiamati a interrompere un reato, per chi è addetto alla pubblica sicurezza scattano le esimenti previste dal codice penale, che includono anche il mancato rispetto del codice della strada che, invece, generalmente anche chi opera con sirena e lampeggiante è tenuto a rispettare. Ecco perché leggere nella contestazione della procura nei confronti del carabiniere alla guida della Gazzella dell’Arma che, nel caso Ramy, durante l’inseguimento la distanza di sicurezza non era adeguata e che la durata dello stesso – 8 minuti – avrebbe potuto compromettere la capacità di reazione e concentrazione alla guida, lascia di stucco. Perché, tradotto, questo significa che le forze dell’ordine chiamate a bloccare un fuggitivo devono rispettare la distanza di sicurezza, ovvero non devono avvicinarsi troppo. Come dovrebbero fermarlo non si capisce. In secondo luogo perché, se si mette in discussione la durata di un inseguimento perché ritenuta eccessiva, l’unica alternativa sarebbe quella di fermare l’auto e arrendersi venendo meno al proprio dovere una volta trascorso un lasso di tempo considerato ragionevole dalla magistratura. In base a quale parametro, ovviamente, è di impossibile comprensione. Gli eccessi, in particolare se si traducono in reati, non vanno mai bene ed è giusto evitare e prevenire quelli, tanto più odiosi, che potrebbero giungere da chi veste la divisa. O la toga.


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