Cassina non solo arredo, ma arte pura immutata dopo cinquant’anni
Negli anni ’70, in Italia, l’aria era elettrica. Le strade pulsavano di idee, le università ribollivano, l’industria cercava nuovi linguaggi, e il design — quel linguaggio — lo stava trovando. In mezzo a questa rivoluzione silenziosa ma potentissima, c’era Cassina. Un nome che non si limitava ad arredare spazi, ma che con decisione, coraggio e visione, sceglieva di entrare nella storia come creatore di arte pura. Cassina in quegli anni non produceva semplici mobili: creava icone. Collaborava con i giganti del pensiero progettuale — Le Corbusier, Mario Bellini, Vico Magistretti, Gaetano Pesce — e li lasciava liberi di sperimentare, di osare, di rompere schemi. Ogni pezzo firmato Cassina era una dichiarazione d’intenti, un’opera dove la forma sposava la funzione, ma sempre con un’anima. Il genio italiano si faceva oggetto, si faceva materia: curve morbide, geometrie coraggiose, materiali innovativi che dialogavano con lo spazio. Erano anni di libertà creativa assoluta, in cui nulla veniva fatto per piacere al mercato, ma tutto per dare forma a un pensiero nuovo. E proprio per questo, quei pezzi non sono invecchiati: sono diventati eterni. Oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, quelle poltrone, quei divani, quei tavoli abitano gli interni più moderni con una naturalezza sconcertante. Non seguono la moda: la trascendono. Portano con sé il peso — e la bellezza — di un tempo irripetibile, in cui l’Italia mostrava al mondo come il design potesse essere cultura, visione e poesia. Cassina è, e resta, un’eccellenza italiana. Ma il suo vero trionfo è stato decidere, in quel decennio irripetibile, di non essere solo industria, ma arte. E l’arte, quando è vera, non ha età. Ha solo bellezza.
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