Cinema

CINEMA – Celine Song, le vite passate e quella che scegliamo di vivere

di Martina Melli -


L’esordio artistico è sempre il punto d’arrivo di quello che c’è stato prima. L’esordio di una o di un artista è sempre una comunicazione densa, dove viene fuori il daimon che da tempo anima, quello che preme, quello che perseguita, quello a cui non troviamo soluzioni ma di cui abbiamo un’idea precisa. Celine Song è in sala con un lungometraggio sull’amore che non è possibile, in una vita in cui si deve scegliere una strada piuttosto che un’altra, in cui le fasi sono molteplici e quasi azzeranti, in cui realizzazione personale e affettività abitano stanze lontane della nostra identità.
La storia è autobiografica, è quella di Nora, una ragazza di Seul che appena adolescente si trasferisce in Canada con i genitori, per poi muoversi ancora, da sola, a New York, nel tentativo di perseguire le proprie inclinazioni. In Corea del Sud si lascia indietro un compagno di classe per cui nutre qualcosa di profondo e indefinito. Se lo lascia indietro a un bivio, nel tragitto verso casa, gli dice che sta per partire e prende una salita tutta gradoni, mentre lui gira a sinistra in una viuzza piana. Un quadro esplicitamente metaforico ma anche efficace nella sua semplicità, un flashback che ritorna, fantasmatico, nel corso del film.
La regia di Celine Song firma una pellicola dalla sensibilità tipicamente asiatica (pensiamo alla recente esperienza di Wim Wenders con Perfect Days). Non intrude, si sofferma sugli occhi, sulle foglie degli alberi, sulle luci sfocate. Il tono è ovattato, gli amanti si avvicinano e si allontanano senza mai toccarsi, senza essere melensi, senza sessualità, senza ammettere che quell’amore esiste ed è tale.
Il tempo, le scelte, la tecnologia, le aspirazioni sono agenti protagonisti che, vorticando come carta dentro un tornado, travolgono le traiettorie dei due personaggi. Vediamo la parabola di crescita di Nora, le sue frustrazioni, i suoi desideri, le sue emozioni, ma sappiamo poco di Hae Sung; capiamo, con una buona dose di pregiudizio da spettatori, che è un tipo semplice con una vita semplice, ordinaria, inserita nella società coreana che questo si aspetta da lui. Sembra, ma non è dichiarato, sia rimasto sospeso a pensare l’amica d’infanzia, di cui dodici anni dopo, poco più che ventenne, si mette sulle tracce. Non compaiono altre figure femminili, non sembra essersi innamorato più di nessuno. Nora soffre ma avanza, cambia Paese, vince una residenza per artisti, diventa una sceneggiatrice affermata, conosce un altro scrittore, si sposa, convive.
Malgrado il dolore del ritorno, malgrado quella lunga attesa del taxi che riporterà Hae Sung all’aeroporto, si guardano in silenzio perché nulla si può dire, nulla di diverso è possibile. Lei piange. Arthur, il marito americano, apparentemente sconfitto, la prende sotto braccio e la riporta nell’appartamento, mostrandosi vero amore: partner che custodisce e sa stare accanto, che comprende quanto complessa sia la realtà e l’intimità altrui.


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