Attualità

PRIMA PAGINA – Certificazioni d’auto d’epoca, un’anomalia da sanare

di Angelo Vitale -


Auto d’epoca, di interesse storico o da collezione: se non è giallo, è caos. Nell’epoca in cui il vintage assume sempre più rilevanza, pur essendo ritenute dal Codice della strada veicoli atipici, sono considerate a tutti gli effetti un patrimonio nazionale. E godono dell’esenzione del bollo e di riduzioni assicurative, diventando elementi costitutivi di un vero e proprio museo itinerante.

Ma quale è la natura di questo caos? Prima della risposta, qualche numero. Secondo i dati della Motorizzazione, a fine 2022 i veicoli con più di 20 anni erano 16.146.684: poco più del 28% del parco circolante, più di un’automobile su quattro in tutto il Paese. Quelli che hanno la certificazione sul documento di circolazione sono 148.882. Un numero comunque elevato. Che, se moltiplicato per 300 euro di bollo non pagato, conduce – in un periodo di dieci anni – a cifre considerevoli di un possibile danno erariale.

Perché? A rilasciare il certificato di rilevanza storica e collezionistica, federazioni private che provvedono a tale compito affidandone l’esaminazione a dei semplici amatori. I quali, non possedendo alcuna formazione o titolo riconosciuto che ne affermi la competenza e affidandosi unicamente al loro istinto amatoriale, pur sempre a questo punto discutibile, creano di fatto una generalizzata sperequazione di valutazioni sul territorio nazionale.

Sono “semplici amatori”, ribadisce il presidente della Camera arbitrale internazionale, Rocco Guerriero, che alla fine, in una anomalia tecnico normativa tutta italiana, hanno il potere di rendere esenti alcuni cittadini – e quanti!- dal pagamento del bollo. Alla Camera guidata da Guerriero fanno capo oltre 1.300 arbitri e periti e dal 2022 l’organismo ha perfino costituito un’apposita area competente in arbitrati per le controversie sui veicoli d’epoca, considerato il numero delle liti di questo tipo che è stata finora chiamata a dirimere. Liti sempre più crescenti.

Un’anomalia da sanare. Anche perché c’è il non poco rilevante particolare di una sorta di monopolio di queste federazioni ad occuparsi della questione. Non gratis, considerato che viene richiesto al proprietario di associarsi all’ente certificatore, pagando una quota annua mai inferiore a 100 euro. Oltre alla suddetta quota associativa, viene anche richiesto al proprietario di effettuare un ulteriore pagamento all’ente certificatore, mai inferiore a 20 euro, per ottenere il certificato di rilevanza storica del proprio mezzo. Una sorta di tesseramento da ripetere ogni sanno, per garantirsi la conferma della certificazione ottenuta.

Da anni, nonostante tutte queste evidenze, ogni governo e ogni Parlamento ha girato la testa dall’altra parte, preferendo lasciare le cose come stanno. E nonostante l’emergere di un’altra questione che pure dovrebbe significare qualcosa, visto che i fronti di maggioranza e opposizione in ogni legislatura hanno sempre aspramente litigato e si sono contrapposti sul tema dell’evasione fiscale. Ogni eventuale abuso o trascuratezza nella certificazione dei veicoli storici e d’epoca, infatti, consente pure l’evasione fiscale nel senso più proprio, quella che affranca dal pagare imposte sui redditi anche per milioni.

E nulla si è mosso nemmeno dopo una significativa sentenza della Suprema Corte di Cassazione – quella numero 3837 del 15 febbraio 2013 – che ipotizzava una situazione di tipo monopolistico in netto conflitto con il principio costituzionale di eguaglianza “non potendo il legislatore precostituire in favore di singoli soggetti privati, quali l’Asi una vera e propria rendita di posizione”.

Undici anni da quel pronunciamento e nulla è accaduto. L’Automotoclub storico italiano continua a considerare una “svolta” il passaggio normativo che nel 2000, con la legge 342, conferiva all’Asi “la facoltà di certificare i veicoli e di iscriverli nel proprio registro per fini fiscali e assicurativi”. Appunto, una “facoltà”. Divenuta, negli anni, l’apripista di questa situazione oggi con forza denunciata dalla Camera arbitrale internazionale.

Non sono bastate, finora, le ripetute richieste di intervento. Non sono servite a sollecitare soluzioni, dopo il clamore del momento, inchieste giornalistiche come quella Rai di Report negli anni scorsi.
La Camera guidata da Guerriero, però, non demorde. E, nel tempo, oltre a segnalare ripetutamente l’anomalia da sanare, ha avviato iniziative e proposto ipotesi di intervento. Un Master è stato ideato con l’università E-campus per formare valutatori professionisti. E una commissione congiunta, composta dalla Camera con la Motorizzazione Civile o l’Aci, potrebbe essere chiamata ad accertare la vera storicità di ogni veicolo.

Perché finora la Motorizzazione Civile, struttura che è emanazione del ministero dei Trasporti ed è deputata a svolgere il controllo tecnico e la funzione amministrativa in relazione al rispetto delle normative tecniche sul trasporto civile, non ha alcun tipo di controllo, e quindi nemmeno una precisa responsabilità, sulle certificazioni rilasciate dall’Asi per le auto d’epoca e trascritte sulla carta di circolazione per esentare il veicolo dal pagamento della tassa di proprietà. Lo Stato, insomma, in tutti questi anni, si è girato dall’altra parte. Un po’ troppo, se l’obiettivo iniziale era promuovere la valorizzazione di un patrimonio nazionale itinerante.


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