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Cesare Pavese: vita, contraddizioni e il diario segreto

Il documento che svela l’uomo dietro il mito di uno scrittore che sfidò ideologie riflettendo sul senso profondo della vita

di Anna Tortora -


Il 27 agosto 1950, in una stanza dell’Hotel Roma di Torino, Cesare Pavese si tolse la vita. Quel gesto segnò la fine di una vita breve ma intensissima, lasciando dietro di sé non solo un corpo, ma soprattutto una serie di contraddizioni che ancora oggi affascinano studiosi e lettori. Di lui esistono due biografie: una ufficiale, pubblica, consacrata nelle antologie scolastiche; e una più sommersa, intima e scomoda, custodita nei suoi taccuini segreti e nel silenzio di chi preferì ignorarla.

La biografia ufficiale: l’intellettuale antifascista e comunista?

La narrazione più diffusa dipinge Pavese come lo scrittore antifascista, perseguitato dal regime e mandato al confino, l’intellettuale che introdusse in Italia la letteratura americana traducendo autori come Faulkner, e come una figura centrale nel mondo culturale dell’epoca. Tuttavia, questa immagine rischia di semplificare un uomo che fu molto più complesso e spesso distante dalle ideologie politiche.

Il diario nascosto: un Pavese inedito e controverso

Nel 1990, la pubblicazione su La Stampa di un taccuino inedito, scritto tra il 1942 e il 1943, cambiò radicalmente la percezione dell’uomo dietro lo scrittore. In quei fogli emerge un Pavese freddo osservatore della Germania nazista, che ne ammirava la disciplina, l’attaccamento alla terra e il senso della Heimat, la cultura della patria. Addirittura, rivalutava la Repubblica di Salò, vista come un’estrema manifestazione del fascismo originario, quello delle illusioni giovanili. «La storia non va coi guanti», annotava, quasi cercando di mitigare le critiche relative ai crimini nazisti.

Le polemiche e le critiche dei compagni di partito

Questo taccuino esplose come una bomba di mezza estate, suscitando forti polemiche. Giovanni Paietta, figura di spicco del PCI, definì Pavese «un disertore». Per i suoi collaboratori più intimi, dunque, Pavese non fu né fascista né antifascista. Comunista? Neanche. Pavese era troppo solitario e lucido per aderire senza riserve a un’ideologia, e fu così che finì per iscriversi al PCI, più per moda che per vera convinzione politica: «Mi sono dato a questi amici perché sono stanco. So che sbaglio», scriveva.

Il mestiere di vivere: confessioni e riflessioni intime

Il mestiere di vivere non è solo un diario, ma un vero confessionale laico. Attraverso pagine di rara intensità, Pavese si confronta con i propri sensi di colpa, le ambiguità, le delusioni amorose e la paura della morte. Questo flusso continuo di riflessione e dolore, simile allo Zibaldone leopardiano, rappresenta un pamphlet dell’anima, un trattato sull’impossibile arte di esistere: «Quel che dico tradisce il mio essere», annotava, consapevole di tradire se stesso con le sue stesse parole.

La spiritualità nascosta di Pavese

Nonostante l’apparente distanza dalla religione, la spiritualità è parte integrante del mondo di Pavese. e nel 1943, trovò rifugio per sedici mesi presso il Collegio di Casale Monferrato, accolto come un figlio da Padre Giovanni Baravalle. Qui emergono in lui aspetti mistici, nascosti ma profondi. Le sue parole lo testimoniano: «Il silenzio è sempre l’invocazione di Qualcuno. È nel silenzio che si gioca tutta la nostra vita». Un richiamo che sembra riecheggiare Giordano Bruno e la sua idea del silenzio come spazio sacro per il contatto con il divino.

Tra filosofia e tormento: Kierkegaard, Šestov e il nulla

Il disagio esistenziale di Pavese trovò riflesso nelle meditazioni di Søren Kierkegaard, che rifletteva sull’intellettuale e sottolineava che «la vita è più importante che il pensiero». Altrettanto influenti furono per Pavese le letture degli spiritualisti russi, in particolare di Lev Šestov. Nel diario si trovano molte note su libertà, nulla, necessità e Dio, spesso riferite a Šestov che cita Kierkegaard. Queste riflessioni, però, non riuscirono a colmare il vuoto interiore che tormentava Pavese.

Un uomo e uno scrittore imprescindibile

Cesare Pavese fu tutto e il contrario di tutto: borghese di formazione, marxista per necessità politica, mistico per vocazione interiore. La sua figura resta oggi imprescindibile perché non rassicura, non consola e non semplifica. Lui stesso lo sapeva: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi». Ma anche la vita, per lui, aveva uno sguardo così profondo da risultare insopportabile. Forse per questo decise di distogliere lo sguardo, lasciando a noi il compito di ascoltare ancora le sue contraddizioni e il suo dolore.


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