Turismo

Charme e sostenibilità: sulle tracce delle leggendarie Lamie

di Angela Arena -


In un mondo che si muove sempre più freneticamente e l’urbanizzazione minaccia gli  ecosistemi annullando qualsiasi contatto con la natura emerge necessariamente un  imperativo categorico: rallentare. 

Scandire i ritmi della propria quotidianità con lentezza è divenuto un mantra che ha  coinvolto, negli ultimi, anni anche e soprattutto il settore turistico, rappresentando un  antidoto allo stress e all’overtourism che attanaglia i nostri centri storici rendendo le  grandi città invivibili. 

Un trand, quello del turismo lento che vede il viaggiatore prediligere i paesaggi  incantati abbarbicati sulle dolci e verdeggianti colline della nostra Penisola, immergendosi in toto nelle promiscue culture locali e negli aloni leggendari che ancora  oggi ne avvolgono le strade. 

Godere del silenzio di una passeggiata nei boschi, assaporare prodotti autoctoni, molti  dei quali fiore all’occhiello del made in Italy, spostandosi a piedi o in bicicletta e  alloggiare in strutture di lusso gestite localmente non ha prezzo. 

E’ per questo che, sempre più spesso, l’identikit dello slow traveller coincide con quello  del turista altospendente alla ricerca di esperienze autentiche e rigeneranti che  privilegiano la qualità rispetto alla quantità, abbracciando una filosofia di viaggio e di  vita in linea con i valori della sostenibilità ambientale fissati nell’Agenda europea 2030 e che sta riscuotendo consensi soprattutto nelle realtà interne del Belpaese, dove la  connessione con la natura diviene un’esperienza totalizzante. 

E’ il caso de ‘L’altra Luna’, dimora di charme nel cuore della amena e lussureggiante campagna sannita, dove in un contesto rurale, curato nei minimi dettagli e corredato  di ogni comfort, una coppia di professionisti ha dato vita al proprio sogno: una  struttura in cui l’ospite potrà rilassarsi al cospetto di un panorama mozzafiato  dominato dalla quiete della ‘Dormiente’, magari, sorseggiando un bicchiere di  Falanghina del Taburno a bordo piscina, in attesa di una cena genuina a base di  prodotti a km 0, cucinati secondo la tradizione culinaria locale. 

Qui, tra filari di ulivi e vigneti a perdita d’occhio è la natura, in ogni suo angolo più  recondito, a farla da padrona, perfino l’ubicazione sembra richiamarla nel nome:  Contrada Lammia, proprio come il lamio, mitica pianta dai fiori a forma labiata, nota  anche come ortica morta, dalle proprietà diuretiche, lassative e depurative, utile,  secondo la tradizione popolare a combattere anche il malumore. 

In merito, va precisato che, sebbene non vi sia certezza alcuna sul legame tra la  l’infiorescenza e il nome della contrada, piuttosto suggestiva è l’etimologia dello stesso  termine Lamia, in quanto sinonimo di strega, simbolo iconico del territorio in  questione. 

Ed invero proprio il Sannio è noto per essere la patria delle donne più perseguitate nel  medioevo perchè accusate di essere “Dominae Herbarum”, ovvero guaritrici esperte  nell’uso delle erbe officinali, collocazione che si deve alla narrazione di Bernardino da  Siena, un religioso che dopo aver trascorso molti anni nel Beneventano, giunto a Roma  dipingeva nei sermoni le donne come esseri demoniaci portando centinaia di povere  sventurate a morire sul rogo.

Si osservi, inoltre, che tra i primi studiosi dell’antichità ad usare il nome generico di  questo fiore (Lamium) vi fu addirittura Plinio, scrittore e naturalista latino, il quale ci  indica anche una differente etimologia: il termine discenderebbe da un vocabolo greco ”laimos” il cui significato è “fauci – gola”, oppure dal nome di una bellissima regina  libica ”Làmia” che secondo la leggenda fu trasformata da Era, tradita dal marito Zeus, in un mostro metà donna e metà serpente e privata del sonno, pertanto costretta a 

vagare di notte alla stregua di un vampiro, proprio come le streghe che a loro volta  derivano la propria etimologia dal termine strix che significa appunto vampiro. Ma se negli scrittori latini la voce lamia di origine ellenica veniva usata esclusivamente  in senso negativo, come sinonimo di “megera, strega o mostro mangia bambini”, negli  scrittori del Trecento essa assume il significato di “ninfa”, rimandando pertanto ad un  immaginario bucolico tipico del paesaggio collinare presente proprio nei pressi della  dimora situata nell’appennino campano. 

Come è possibile evincere il binomio tra magia ed erbe è sempre esisitio nel Sannio  che, pertanto, rimane una terra ammaliante e ad oggi ancora tutta da scoprire: come  scriveva Marcus Garvey “Un popolo senza la conoscenza della propria storia è come  un albero senza radici”, solo una comunità consapevole dell’incommensurabile  ricchezza ereditata dal passato può comprenderne le eccezionali potenzialità,  valorizzando e tutelando la bellezza di cui è fruitore privilegiato.


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