Cultura & Spettacolo

Che fatica il Veltroni regista

di Adolfo Spezzaferro -


Quando di Walter Veltroni non c’entra niente con Good Bye Lenin!, per fortuna o purtroppo. Per fortuna, perché ha in comune con il capolavoro tedesco soltanto il salto temporale subito dal protagonista. Purtroppo, perché quello di Wolfgang Becker è un film indimenticabile, pieno di brio, di idee, di poesia in salsa Ddr, mentre questa seconda fatica cinematografica veltroniana è faticosa per gli spettatori, che rischiano di piombare nel coma da cui esce a inizio film (cantando L’Internazionale) il protagonista. Come è noto, il film narra le vicende di Giovanni, che si risveglia dopo 31 anni e si ritrova in un mondo profondamente cambiato, dove il suo amato Pci non c’è più, così come l’Urss e il Muro di Berlino. Detto questo, ossia chiarito perché è sbagliato paragonare le due pellicole, mettiamo da parte pure le critiche più politiche che cinematografiche. Perché è pur sempre un film (tratto dall’omonimo romanzo di Veltroni). Non un trattato socio-politico o un saggio sulla trasformazione culturale del nostro Paese. E’ ovvio che ci sia l’impronta dell’ex sindaco di Roma, dell’ex ministro, dell’ex segretario del Pd. Così come ci sia l’impronta dell’ex direttore dell’Unità e del critico cinematografico del Venerdì di Repubblica. Non dimentichiamoci che Veltroni ha fatto la Rossellini, L’Istituto Cine-Tv. Era scritto che avrebbe scritto di cinema e fatto cinema, potendo farlo (è Veltroni!).
Ma da qui a farlo bene, ce ne passa. Veniamo a Quando – è un film non riuscito, in sostanza per due ragioni: i dialoghi spesso appesantiscono l’andamento, di per sé troppo lento di suo, e sono dei quadretti appesi rispetto allo svolgimento della trama; uno dei due personaggi principali non è credibile. E si sa – se in un’opera di fantasia viene meno la sospensione dell’incredulità poi il gioco non funziona. Un po’ come nel caso del cameo del Mago Forest, che sbaglia le magie sul palco della Festa dell’Unità (ma il piccolo protagonista, già iper buonista, non svela il trucco non riuscito).
Questa la trama. Giugno 1984, Giovanni (Neri Marcorè) è in piazza San Giovanni a Roma per i funerali di Enrico Berlinguer, quando l’asta di una bandiera (sezione di Livorno, città fatale per il socialismo italiano) gli cade tragicamente in testa. Dopo 31 anni si risveglia dal coma, in un ospedale cattolico, accudito da suor Giulia (Valeria Solarino) ed è come una nuova rinascita, da adulto. Tutto è cambiato, il mondo che aveva lasciato non c’è più: la sua famiglia, la fidanzata, il partito tanto amato, i cantautori del cuore. Giovanni è come un liceale di 49 anni, che peraltro non ha fatto neanche la maturità, che deve imparare a muoversi nella sua nuova realtà. Ad aiutarlo, oltre a suor Giulia, che si è presa (fin troppo) cura di lui negli ultimi anni della sua degenza, c’è Leo, un ragazzo problematico affetto da mutismo selettivo (il bravissimo Fabrizio Ciavoni).
Grazie a queste due figure chiave – la suora che lo ama segretamente e il nerd disincantato dell’era dei social – il protagonista farà i conti con il passato rimasto congelato a quando aveva 18 anni. Passato che ha le sembianze di Francesca (Dharma Mangia Woods, di super tendenza), sua figlia, cresciuta dalla sua ex fidanzata insieme al suo ex migliore amico (Gianmarco Tognazzi).
Per Giovanni scoprire che la donna della sua (breve) vita si è rifatta una vita con l’amico del cuore è peggio che scoprire che dove sorgeva la libreria Rinascita, accanto alla sede ormai chiusa del Pci, c’è un supermercato. Alla fine il piccolo mondo del protagonista, fatto di cose da 18enne, di una via buonista al comunismo – 100% veltroniana – sottolineata in modo didascalico dalla battuta del film “Era sbagliata l’ideologia ma non gli ideali” – si diluisce, svanisce in un mondo di adulti, dove tutto è cambiato. Perché è andato avanti. Non in meglio né in peggio – chi è lui per giudicare – ma avanti. Il giudizio di Veltroni arriva alla fine, nel pistolotto del maturando con 31 anni di ritardo, un tripudio di buoni sentimenti applicati alla politica. Da vero, grande sognatore quale è. Che sta ancora sognando di fare cinema, ma nel frattempo lo sta facendo sul serio.
Ecco, il personaggio della suora, che fa jogging conciata da Jodie Foster ne Il silenzio degli innocenti, che pure se è bella cerca di apparire asessuata (ma poi trasalisce se Giovanni la sfiora) è tutto sbagliato. Divertente invece il cameo del “veltroniano” Stefano Fresi, cameriere con dottorato in Filologia romanza. Ma la fotografia è tutta sbagliata, “sparatissima” negli esterni, e la regia inesistente nei dialoghi è soporifera. Ci viene da aggiungere un punto interrogativo: Quando (imparerà a fare film Veltroni)?

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