Che sinistra senza Silvio: il peccato originale e la nemesi degli antiberluscones
ELLY SCHLEIN SEGRETARIA DEL PD
Che non sarebbe stato un Carneade la sinistra lo aveva capito subito. La sua personalità da imbonitore, il suo impero mediatico, il vuoto pneumatico lasciato da Tangentopoli, la sua determinazione, il pedigree da imprenditore vincente. E soprattutto gli slogan anticomunisti, che al suo irrompere nell’agone politico era sicuramente già diventata una categoria frusta. Ma lui, un po’ per intuito, un po’ per strategia era riuscito a rendere manicheo il Bel Paese in pochissimi mesi, tanto da assurgere a indiscusso padre del bipolarismo in Italia. E che per la sinistra si sarebbe incanalata in una lunga stagione con un avversario tosto, nuovo era apparso lapalissiano quando nel 1994, in occasioni delle elezioni politiche, Silvio Berlusconi e Achille Occhetto si sfidarono in uno storico dibattito elettorale seguito da circa 9 milioni e mezzo di italiani.
Un dibattito, quello, che avrebbe inaugurato, fra le altre cose, un ventennio che avrebbe inchiodato l’Italia a una diuturna “guerra” tra destra e sinistra. Anzi, tra berlusconiani e antiberlusconiani. Ma anche – come ha avuto modio di scrivere Marcello Veneziani – tra finti liberali e finti comunisti. Quel primo match tra Berlusconi e Occhetto terminò con una schiacciante vittoria del primo, più a suo agio nella palude comunicativa, più sciolto e soprattutto più bravo a rassicurare i connazionali, molti dei quali erano rimasti privi di casa dopo lo tsunami di Mani pulite. Un sondaggio Swg rivelò i giudizi degli italiani sul confronto: il 41% indicò come vincitore Silvio Berlusconi, mentre soltanto il 23% scelse Occhetto. Berlusconi divenne per il suo popolo l’emblema del nuovo, di una politica fortemente liberale che, tuttavia, non avrebbe mai realizzato, mentre la Sinistra – complici anche alcuni comportamenti spregiudicati del Cavaliere – aveva trovato il nemico da incalzare, da battere, il Male in assoluto. Quasi la ragion d’essere di uno schieramento che non riusciva a pensarsi senza il demone del fronte opposto. Ed è per questo che oggi, all’indomani della sua morte, gli orfani di Berlusconi sono anche a sinistra.
E la vera domanda non è sapere chi erediterà anche in termini elettorali il patrimonio politico di Berlusconi – che pare destinato in buona parte alla Meloni, con buona pace dei Renzi di turno a caccia di un’improbabile Opa di quello che resta dei moderati – ma cosa farà la sinistra. Sempre Occhetto proprio ieri ha affermato che “non è vero che l’era Berlusconi è morta oggi, l’era Berlusconi è morta con la vittoria della Meloni”.
Analisi sicuramente molto prossima alla verità, ma rimane da capire se l’intuizione di Occhetto sia appannaggio di tutta la Sinistra che non ha ancora nettato il peccato originale della presenza berlusconiana. In questi giorni il coro è unanime e come un mantra ripete – lo ha affermato anche la segretaria del Pd, Elly Schlein – che con la scomparsa di Silvio Berlusconi si chiude un’epoca. Resta da capire se la Schlein e il gruppo dirigente del Partito democratico faranno tesoro di tutti gli errori strategici inanellati nel lunghissimo duello con Berlusconi. Uno dei più macroscopici assume i connotati di un paradosso. Eccolo: la Sinistra dice di essere contraria alla personificazione della politica, ai partiti del capo, ai simboli e alle schede elettorali con la rappresentazione del leader. Poi però più che lo schieramento attaccano il singolo leader. Accade così che mentre per il Centro destra il nemico da battere è sempre stato e rimane la Sinistra in tutte le sue espressioni, per quest’ultima il nemico da battere è stato per diversi lustri Silvio Berlusconi, poi Matteo Salvini e adesso Giorgia Meloni. Con tutto quello che rappresentano. Così, se Berlusconi era il rappresentante di un liberismo malato, un anti democratico sprezzante delle leggi, nemico dei magistrati e ossessionato dai comunisti, oggi la Meloni impersonifica il rigurgito neo-fascista, la deriva di destra, il peggior volto del populismo attraverso il cosiddetto patto fascio-leghista. Insomma, per la Sinistra il rischio è quello di ricominciare da dove aveva finito. Della serie: cambia l’avversario, ma le modalità restano le stesse. Attaccare piuttosto che proporre, cerare allarmismi anziché affrontare gli avversari sul piano di una vera alternativa, parlare dei e ai leader degli avversari e bypassare completamente quell’elettorato. Con la conseguenza che chi votava per Berlusconi era stato sicuramente imbonito e chi adesso si affida alla Meloni o è un fascista oppure un ingenuotto caduto nella trappola di una finta democratica.
Insomma, per smacchiare il giaguaro di bersaniana memoria alla sinistra ci vuole ben altro. A cominciare da una seria autocritica sul come aveva affrontato quel nemico diventato negli anni una sorta di ossessione, un incubo, una fissazione. E se Berlusconi era considerato un leader che si proclamava liberale ma spesso avrebbe voluto – a volte riuscendoci – sfondare le regole, la sinistra ora dica altro. Dica come coniugare welfare con liberismo, privatizzazioni con giustizia sociale senza più soffermarsi sul capo di turno degli avversari.
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