Emergono ulteriori dettagli del piano statunitense che prevede una cascata di soldi su un suolo bagnato dal sangue palestinese
Israele continua a farsi beffe di tutto e di tutti, sfidando apertamente una comunità internazionale che fino a questo momento è apparsa incapace di passare dalle parole ai fatti. Il ministro israeliano della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha annunciato di aver presentato al governo un piano contro la Global Sumud Flotilla in base al quale tutti gli attivisti arrestati saranno detenuti nelle prigioni israeliane di Ketziot e Damon, utilizzate per i terroristi. L’equazione è semplice nella sua brutalità: chi vuole aiutare la popolazione palestinese, uscendo fuori dai “binari” imposti dallo Stato ebraico, è considerato alla stregua di un terrorista.
La pericolosa equazione di Ben Gvir
Secondo Ben Gvir, la Flotilla rappresenterebbe un tentativo di minare la sovranità di Israele e di sostenere Hamas. “Il piano proposto stabilisce misure volte a rafforzare la posizione incrollabile di Israele nel salvaguardare i propri confini e garantire la sicurezza nazionale. Non permetteremo che chi sostiene il terrorismo viva nell’agiatezza. Dovranno affrontare le conseguenze delle loro azioni”, ha affermato il ministro. Parole pesanti che imporrebbero l’adozione di provvedimenti seri contro l’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu da parte dei Paesi di provenienza degli attivisti della flotta nata per rompere l’assedio attorno all’enclave palestinese.
Hamas contro il piano statunitense per Gaza
“Gaza non è in vendita”. Bassem Naim, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha respinto in maniera dura il presunto piano di 38 pagine dell’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump, che prevederebbe il “controllo” statunitense della Striscia di Gaza e il trasferimento temporaneo della popolazione. La Casa Bianca starebbe valutando la creazione di un “trusteeship” amministrato dagli Usa per almeno dieci anni, con l’obiettivo di trasformare Gaza in “una calamita per il turismo e un polo high-tech”. Uno schiaffo alla dignità dei gazawi e un oltraggio agli oltre 63mila morti dall’inizio della guerra.
Naim ha ribadito che “Gaza fa parte della più ampia patria palestinese”, condannando il progetto e denunciando l’intenzione americana di “strappare il territorio al suo popolo legittimo”. Per il Washington Post sarebbe previsto il trasferimento dei circa due milioni di abitanti di Gaza, sia attraverso partenze “volontarie” verso altri Stati, sia tramite la loro ricollocazione in “zone protette e recintate” all’interno della loro stessa terra.
Gli Stati Uniti avrebbero sostanzialmente in pugno la Striscia per almeno un decennio, trasferendo gradualmente i compiti di controllo alla polizia locale da quelle che il documento descrive come “Pmc occidentali”, vale a dire società militari private. Il documento parla anche del coinvolgimento di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, menzionando infrastrutture come l’autostrada ad anello e il tram Mbs e l’autostrada Mbz. Mbs è l’acronimo di Mohammed bin Salman, principe ereditario dell’Arabia Saudita, mentre Mbz sta per Mohammed bin Zayed, sovrano degli Emirati Arabi Uniti.
La Striscia di Gaza, spopolata e ricostruita, diverrebbe un centro per l’industria privata, con aziende come Tesla e Amazon Web Services. Denominata pomposamente “Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation Trust” o “Great Trust”, la proposta è stata elaborata da alcuni degli stessi israeliani che hanno creato la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), sostenuta da Stati Uniti e Israele, i cui disastrosi risultati sono sotto gli occhi del mondo intero.
Ostaggi e visti
La questione degli ostaggi continua a dividere l’opinione pubblica israeliana. Il Forum delle famiglie degli ostaggi ritiene che Netanyahu “sta sacrificando gli ostaggi e i soldati sull’altare della sua sopravvivenza politica, mentre Hamas ha sul tavolo un accordo tangibile accettato”.
Il governo israeliano procede senza tentennamenti anche “grazie” al sostegno degli Usa. L’amministrazione Trump ha emanato una sospensione delle approvazioni di quasi tutti i tipi di visti per i titolari di passaporto palestinese. La decisione, se confermata, impedirebbe a molti palestinesi della Cisgiordania e dei territori occupati di entrare negli Stati Uniti.