Economia

Ci facciamo male da soli: lo dice anche Visco. I costi della rinuncia al gas russo

L'economia italiana "è, con quella tedesca, tra le più colpite dall'aumento del prezzo del gas, per la quota elevata di importazioni dalla Russia e per la rilevanza dell'industria manifatturiera, che ne fa ampio uso".

di Adolfo Spezzaferro -


Le parole del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, in occasione della pubblicazione della Relazione annuale sul 2021, non lasciano spazio a dubbi. “In gennaio – prosegue – ci attendevamo che il prodotto tornasse sul livello precedente lo scoppio della pandemia intorno alla metà di quest’anno e prefiguravamo una solida espansione, superiore in media al 3 per cento, nel biennio 2022-2023”. Invece, “la guerra ha radicalmente accentuato l’incertezza su queste prospettive. L’attività produttiva si è indebolita nel primo trimestre”. Nel caso di una guerra lunga e di uno stop delle importazioni di gas dalla Russia, secondo Bankitalia, il 2022 risentirebbe soprattutto degli “effetti legati all’interruzione delle forniture di gas” e di quelli dovuti “alla maggiore incertezza e al calo della fiducia”. Nel 2023, invece, il “contributo maggiore deriverebbe dall’impatto dei rincari delle materie prime sul reddito disponibile e sulla spesa delle famiglie. L’aumento dei prezzi dell’energia determinerebbe un forte rialzo dell’inflazione, che arriverebbe al 7,8 per cento nel 2022, oltre 4 punti percentuali al di sopra dei livelli prefigurati in gennaio, per poi scendere al 2,3 per cento nel 2023, in linea con l’ipotizzato ridimensionamento delle pressioni sui prezzi delle materie prime”, continua il governatore.

Le parole di Visco hanno, d’altronde, rafforzato le dichiarazioni di ieri dell’ad di Eni, Claudio De Scalzi, che, in una intervista al Corriere della Sera, aveva ammonito che la sostituzione totale del gas russo non potrà avvenire prima dell’inverno 2024-2025.

Non stupisce il no alle sanzioni al gas russo, allora, anche da parte di altri Paesi, come l’Austria. Nessun embargo sul gas dalla Russia in discussione nel prossimo pacchetto di sanzioni Ue, è quanto ha infatti richiesto il cancelliere austriaco Karl Nehammer, all’arrivo al vertice dell’Ue: “Già ieri era chiaro, lo ripeto oggi, l’embargo sul gas non si discuterà, questo è stato chiarito da Olaf Scholz”, svelando come anche la Germania sia sempre più scettica sulla questione.

D’altronde, se era difficile far passare l’embargo russo sul petrolio, figuriamoci il gas. Il 90% dell’oro nero è infatti movimentato su nave, ed è quindi più facile cambiare fornitore. Più difficile, invece, è rinunciare, non solo al gas russo, ma alla comoda rete di gasdotti che collega la Russia all’Europa. Un problema anche nel Pacifico, come dimostra il dato che anche il ministro dell’Economia, del commercio e dell’industria di Tokyo, Koichi Hagiuda, in occasione di un dibattito nella commissione Bilancio della Camera alta del Parlamento, ha ieri dichiarato che “il Giappone non prevede di ritirarsi da Sakhalin-2, neanche se ci venisse chiesto di interrompere la collaborazione”. Sakhalin-2 è una pipeline realizzata sull’isola di Sakhalin in collaborazione con Gazprom, Mitsui, Mitsubishi.

Ma non è solo la rete di infrastrutture fisiche a rendere l’interdipendenza euroasiatica così difficile da spezzare. Il tema è a quali costi si possa realizzare il decoupling con Mosca. Se all’inizio della guerra, i costi più bassi del gas naturale liquefatto americano e la disponibilità della risorsa rendevano fattibile una sostituzione, il crescente prezzo del gas renderà sempre più costosa la scelta di rinunciare al gas russo.


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