CNR: il sincrotone svela il mistero del “finto oro” di Cimabue
Uno studio del CNR svela il mistero del “finto oro” di Cimabue e consentirà di innovare le azioni di conservazione del patrimonio artistico. Scoperto il fenomeno responsabile dello scurimento della doratura nel quadro intitolato La Maestà di Santa Maria dei Servi a Bologna, grazie alle indagini di un team di ricerca guidato da Cnr-Scitec e Università di Bologna.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Analytical Atomic Spectrometry, ha esaminato campioni del “pigmento dorato” adoperato dal pittore fiorentino come sostitutivo della più costosa foglia di metallo.
Non è tutto oro quel che luccica, è il caso di dire. Dopo questa ricerca, non ci saranno più segreti sulla miscela uti8lizzata al posto della costosa foglia d’oro. Era composta da polvere d’argento metallico ed orpimento, un pigmento giallo “simigliante all’oro”, così lo definiva lo storico Cennino Cennini, nel Libro dell’Arte. Un composto destinato con il tempo a scurire e perdere lucentezza. La celebre Maestà di Santa Maria dei Servi, opera di Cimabue custodita nella omonima chiesa di Bologna è tra le opere interessate da questo processo di imbrunimento.
All’opera sul fenomeno, un team di ricerca guidato dall’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” (Scitec) del Consiglio nazionale delle ricerche e dall’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia e l’Università di Anversa, ha esaminato il capolavoro cimabuesco.
Letizia Monico, ricercatrice del Cnr-Scitec, spiega che l’imbrunimento delle decorazioni “finto oro” del trono della Maestà è innanzitutto imputabile all’umidità e che tale fenomeno può aggravarsi se la pittura viene esposta alla luce.
Per ottenere questo risultato, sono stati analizzati un paio di micro-frammenti prelevati da campiture inscurite della pala cimabuesca. Ciò, con metodi di microspettroscopia vibrazionale in laboratorio e con sorgenti ai raggi X presso l’infrastruttura europea di sincrotrone ESRF di Grenoble in Francia ed il sincrotrone nazionale tedesco PETRA III-DESY ad Amburgo.
“Le micro-analisi effettuate al sincrotrone ci hanno permesso di dimostrare che l’imbrunimento è dovuto alla formazione di solfuro d’argento, un composto nero, che, per intenderci, è lo stesso materiale responsabile dell’annerimento di tanti oggetti o gioielli fatti d’argento. La trasformazione chimica, promossa dall’esposizione all’ umidità o alla luce, è accompagnata dalla formazione di ulteriori composti di degrado biancastri, solfati ed arseniati”, rivela la Monico.
“Lo studio del dipinto è stato integrato con indagini su provini pittorici a tempera invecchiati artificialmente, preparati utilizzando una miscela di orpimento ed argento metallico, molto simile a quella identificata nelle decorazioni “finto oro” del trono de La Maestà del Cimabue. I risultati mostrano che l’orpimento originale (chimicamente un trisolfuro d’arsenico) per reazione con l’argento metallico si trasforma in solfuro d’argento e in ossidi d’arsenico in condizioni di elevata umidità relativa percentuale e/o in presenza di luce” aggiunge Aldo Romani, professore associato dell’Università degli Studi di Perugia, e co-autore del lavoro.
Si è così giunti alla conclusione che due sono i fattori su cui agire per mitigare e rallentare l’avanzamento del processo d’imbrunimento de la Maestà: esporre il dipinto a livelli di umidità relativa percentuale non superiori a circa il 30% e mantenere l’illuminazione ai valori standard previsti per i materiali pittorici sensibili alla luce.
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