Cronaca

CODICE ORLANDI TOMBE E SEGRETI

di Rita Cavallaro -


Nomi pesanti, tombaroli e messaggi cifrati. Sono questi i misteri celati nella chat segrete che hanno spinto la Santa Sede ad aprire, per la prima volta dopo 39 anni, un fascicolo sul caso di Emanuela Orlandi, la 15enne svanita nel nulla il 22 giugno 1983. Sul mistero del rapimento della ragazza, cittadina vaticana, in questi decenni si sono susseguite piste che spaziano dalla Banda della Magliana ai soldi dello Ior, si sono aperte e chiuse inchieste alla Procura di Roma, si è cercato nella tomba di Renatino De Pedis, il boss della banda criminale che in quegli anni si era presa Roma. La bara di Renatino, tumulata incredibilmente nella chiesa di Sant’Apollinaire, venne aperta, perché qualcuno giurava che insieme ai suoi resti fosse tumulato il corpo di Emanuela. Invece c’erano solo le ossa del boss. Anche l’apertura di due tombe al cimitero Teutonico, indicato da una gola profonda come il luogo in cui giacevano le spoglie della ragazza, non hanno portato a nulla. Anzi, hanno ancor più alimentato il mistero, perché è venuta alla luce una stanza sotterranea, costruita successivamente in cemento armato, dove custodire qualcosa di segreto. Stranamente all’interno non c’era nulla: è stata trovata vuota.
E alcuni mesi fa la famiglia Orlandi è entrata in possesso di documenti che indicherebbero come in quella stanza siano stati invece occultati i resti di Emanuela. La svolta che ha dato nuova linfa all’inchiesta è arrivata grazie ad alcune persone interne alla Chiesa che hanno consegnato a Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, gli screenshot di una conversazione avvenuta nel 2014 tra due cellulari riservati del Vaticano. In questo scambio di messaggi si parla della ragazza rapita, della stanza sotterranea del cimitero Teutonico, di “tombaroli”, di Papa Francesco e del cardinal Abril, che all’epoca era il presidente della commissione cardinalizia dello Ior. È Pietro a fornire alcuni dettagli di quelle conversazioni sulle quali, al momento, c’è riserbo. “A un certo punto i due scrivono: come paghiamo i tombaroli per quelle cose che abbiamo preso? E poi parlano di documentazioni su Emanuela e dicono che ne era al corrente Papa Francesco e il cardinal Abril”, rivela Pietro Orlandi, che non ha dubbi sul fatto che “il Papa sa cosa è successo a Emanuela”. Bergoglio, d’altronde, subito dopo la sue elezione, aveva detto una strana frase a Pietro, durante un incontro a messa: “Emanuela è in cielo”. Da allora la famiglia Orlandi l’ha cercato per un incontro riservato, voleva la verità, ma il Pontefice non li ha mai ricevuti. E quando i whatsapp sono finiti nelle mani dei familiari della ragazza, Pietro, dietro consiglio del suo legale Laura Sgrò, ha scritto una lettera al Papa, consegnata a mano da una persona fidata nel novembre del 2021. Inaspettatamente, due mesi dopo il Pontefice ha risposto con una missiva, in cui ha precisato che il Vaticano era disponibile a collaborare al caso e ha indicato alla famiglia Orlandi di condividere gli elementi di prova con il tribunale ecclesiastico. Così Pietro e il suo legale avevano depositato subito la documentazione alla cancelleria della Santa Sede, convinti che sarebbero stati convocati per essere ascoltati sulle circostanze che gli hanno permesso di mettere le mani sugli screenshot. Senza contare che nell’istanza sarebbero indicati anche i nomi dei due autori dello scambio di messaggi, ai quali Pietro avrebbe mandato dei whatsapp, visualizzati dai diretti interessati ma rimasti senza risposta. Dalle indiscrezioni emerge che si tratta di due prelati, vicini proprio al Pontefice. I due non sono indagati ma vengono ritenuti persone informate sui fatti. Le loro conversazioni saranno oggetto di approfondimento. Lo scambio di messaggi, infatti, è alquanto fumoso.
Oltre ai tombaroli e alla stanza segreta sotto il Teutonico, ci sono altre frasi che restano criptiche. “Devi andare per questa strada… però bisogna risolvere perché questa è una cosa molto grave… lo dobbiamo dire al Comandante della Gendarmeria? No, no, assolutamente… ma che scherzi, assolutamente no!”. Un rebus, depositato da oltre un anno, durante il quale la Santa Sede ha voluto esaminare con attenzione i documenti. “Valuteremo gli elementi e decideremo se è il caso di aprire un’inchiesta”, aveva rivelato in esclusiva a L’Identità il promotore di giustizia aggiunto del Vaticano, Alessandro Diddi. “Decideremo con serenità e senza pregiudizi”, ci aveva garantito. E negli ultimi cinque mesi gli investigatori vaticani hanno fatto le loro valutazioni sulla base delle nuove risultanze, che sono apparse rilevanti visto che, stavolta, hanno portato, per la prima volta in 39 anni, all’apertura di un’inchiesta della Santa Sede per fare luce sul caso irrisolto della cittadina vaticana. “L’augurio è che stavolta ci sia una volontà concreta e immediata di arrivare alla verità su Emanuela”, ha detto l’avvocato Laura Sgrò, auspicando che “se ci sono responsabilità del Vaticano nella vicenda che vengano fuori”. Non si conoscono i tempi, ma probabilmente l’indagine non avrà risvolti significativi a breve, perché gli investigatori dovranno approfondire gli elementi presentati dalla famiglia Orlandi, delineare le circostanze, ascoltare i testimoni e, tra l’altro, acquisire la mole di atti che si trova negli uffici della Procura di Roma dal 2015, anno di archiviazione dell’inchiesta condotta dall’aggiunto Giancarlo Capaldo, su impulso dell’allora procuratore capo Giuseppe Pignatone. Lo stesso Pignatone, oggi, è il presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Un fascicolo corposo, che contiene molti verbali, con le dichiarazioni di personaggi che, negli anni, sono risultati perfino inattendibili. E tante piste da cui ripartire, per capire chi e perché ha preso Emanuela e dove è stato nascosto il suo corpo.

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