La Commissione Ue avvisa l’Italia: l’uso della golden power sull’Ops Unicredit-Banco Bpm “potrebbe violare l’articolo 21 del regolamento Ue” in materia di concentrazioni. In pratica, si tratterebbe di un’indebita interferenza, da parte dell’autorità statale, nel libero mercato dei privati. Che, in linea di teoria, sarebbe pur consentita a patto che le misure richieste dall’autorità siano “appropriate, proporzionate e non discriminatorie”.
La lettera è arrivata. E non sarà stata dolorosa come quella spedita nel fine settimana da Trump a Bruxelles tuttavia qualche dispiacere l’ha pure fatto insorgere a via XX Settembre. Secondo quanto rilevato dalle istituzioni comunitarie, il problema sarebbe da rintracciare nella “carenza di motivazione” alla base del decreto, emanato il 18 aprile scorso dalla presidenza del consiglio dei ministri. Una prima interlocuzione tra Roma e la Commissione Ue, chiesta il 26 maggio e concretizzata l’11 giugno scorso con la replica dal Ministero per l’Economia e le Finanze, non è stata evidentemente esaustiva nel fugare i dubbi sulla scelta del governo. Stando all’esecutivo Ue, difatti, si potrebbe ravvisare un ulteriore problema in una possibile incompatibilità con altri campi del diritto comunitario, in particolare quelle norme che regolano la libera circolazione dei capitali e che impongono la vigilanza in campo alla Bce. La missiva partita da Bruxelles ha riscosso la reazione pacata del governo che si è offerto di collaborare. In una nota diramata da Palazzo Chigi, difatti, si legge che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni “con spirito collaborativo e costruttivo risponderà ai chiarimenti richiesti così come già fatto in sede giurisdizionale dinanzi al Tar nei termini e con motivazioni ritenute già legittime dai giudici amministrativi”. Una posizione su cui, però, uno scontro – almeno nei toni – s’è registrato in maggioranza col vicepremier Matteo Salvini che ha lanciato un’altra sfida a Bruxelles, invitando la Commissione a occuparsi, invece che di golden power, “di cose più importanti”, come ad esempio “trattare con gli Usa”.
Già, perché la vicenda non s’è ancora esaurita. All’Italia, difatti, resta da presentare le proprie osservazioni sulla questione che poi saranno valutate dalla Commissione che dovrà comprendere come agire sulla vicenda. Che, nel fine settimana, ha registrato un nuovo capitolo con la sentenza del Tar del Lazio. I giudici amministrativi avevano parzialmente accolto il ricorso avanzato da piazza Gae Aulenti annullando l’impegno a non ridurre per almeno cinque anni il rapporto impieghi-depositi delle due istituzioni bancarie e gli obblighi sul mantenimento del livello del portafoglio di project finance. Il nodo della vicenda, ossia la questione legata alle attività in Russia di Unicredit, non è stato definito dal tribunale amministrativo del Lazio. Né, tantomeno, sono stati chiariti i termini degli investimenti negli asset italiani di Anima. Una pronuncia, in pratica, che ha soddisfatto tutti ma che sembra lasciare molti punti ancora aperti.
Nel frattempo, in Germania, la vicenda Unicredit-Banco Bpm si fa sempre più interessante. Già, perché in terra tedesca la banca guidata dall’ad Andrea Orcel ha lanciato la sfida a Commerzbank, secondo istituto di credito del Paese, ricevendo in contropartita un’alzata di scudi a ogni livello. L’Ue, da un certo punto di vista, potrebbe diventare un’alleata preziosissima per l’istituto di credito italiano. Al punto che persino i manager interni, come il Cfo di Commerz, Carsten Schmitt, hanno capito di dover abbassare i toni e puntare su altre argomentazioni. Tra cui la principale: “Una potenziale integrazione” tra le due banche “non porterebbe benefici concreti senza un’unione bancaria pienamente operativa a livello europeo”. In pratica, finché le regole non si fanno, non possono valere. “Capisco certamente l’utilità di avere attori grandi e forti non solo a livello nazionale, ma forse anche a livello continentale”, ha spiegato Schmitt alla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Quindi ha concluso: “Soprattutto rispetto ai grandi istituti finanziari mondiali, questo è un punto assolutamente valido. Abbiamo bisogno di un consolidamento, ma questo funziona solo se abbiamo un’unione bancaria. E non ce l’abbiamo ancora. In sostanza, una fusione con Unicredit rappresenterebbe quindi solo un consolidamento all’interno della Germania. In definitiva, deve avere senso per tutte le parti coinvolte”.