CON LA CULTURA SI MANGIA – Trump contro Harvard, potere contro cultura
“Cu ‘n sapi, pari ca sapi, e cu sapi, pari ca ‘n sapi.”
(Chi non sa, sembra che sappia, e chi sa, sembra che non sappia. Proverbio siciliano). L’ultimo scontro tra l’amministrazione Trump e Harvard University si è consumato in una lettera che sembra uscita da un compito in classe corretto con la penna rossa: grammatica maldestra, sintassi fragile, contenuti discutibili. Una forma tanto rozza da sembrare deliberata, come se lo scopo fosse non solo comunicare, ma umiliare. È l’ennesimo episodio di un fenomeno più ampio: la politicizzazione dell’ignoranza. L’esaltazione della semplicità a scapito della competenza, della pancia contro il cervello. Un bullismo istituzionalizzato che, negli Stati Uniti come altrove, si è fatto strumento di consenso. La decisione di Trump di congelare 2,2 miliardi di dollari destinati alle università, tra cui Harvard, rientra in questa logica. Non è solo una questione economica: è una dichiarazione ideologica. Harvard, come Stanford o Yale, non è vista solo come un’università d’élite, ma come il simbolo di un’America “liberal”, distante dai bisogni reali della working class bianca. Il populismo anti-intellettuale ha radici profonde nella storia americana. Richard Hofstadter, nel suo celebre saggio Anti-Intellectualism in American Life (1963), spiegava come negli Stati Uniti la figura dell’intellettuale sia spesso percepita con sospetto. Non solo inutile, ma potenzialmente pericolosa, in quanto distante dalla “gente comune”. Negli anni recenti, questa tendenza si è amplificata. Uno studio del Pew Research Center del 2017 rilevava che solo il 36% dei repubblicani conservatori aveva una visione favorevole delle università, contro il 72% dei democratici. Un divario culturale enorme, che si riflette nelle urne, nei social media e nelle politiche pubbliche. C’è anche un’autocritica necessaria. Le università, i media, le istituzioni culturali hanno spesso parlato tra sé, dimenticando chi restava indietro. La narrazione del merito come unica chiave del successo ha finito per legittimare le disuguaglianze. Negli Usa il 60% degli studenti nelle università della Ivy League proviene dal 20% più ricco della popolazione, mentre solo il 3% viene dal quintile più povero (Opportunity Insights, 2020). Questo ha contribuito a creare una percezione di élite autoreferenziale. E ha lasciato spazio a un sentimento di rivalsa. Stessa rivalsa che oggi fa applaudire lettere sgrammaticate e attacchi al sapere. E ora? Cultura e potere un tempo camminavano insieme. Oggi la cultura è spesso vista come un nemico da abbattere. Il rischio è enorme: una società che disprezza il sapere è una società che rinuncia al futuro. La sfida è ricucire il tessuto lacerato tra sapere e popolo. Riportare la cultura nei quartieri, nelle scuole pubbliche, nelle periferie. Farne di nuovo uno strumento di emancipazione. Solo così si può sperare di voltare pagina.
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