Cultura & Spettacolo

CON MERCOLEDÍ NON È MAI DOMENICA

di Nicola Santini -


E’ cosa abbastanza rara che gli spin off superino in qualità, mordente, spirito le arterie principali. E Mercoledì sorpassa di gran lunga (e a destra) la matrice (o matrigna) Addams. Basta non paragonarla alla serie originale in bianco e nero, capolavoro di umorismo noir e antesignana di quel politicamente scorretto da rimpiangere da cui però è altro. E siamo altrove.
Mercoledì è la risposta cattiva ad Harry Potter, non la pronipote di quella originale. Se il filtro è quello, si apprezza la genialità dell’operazione.
La bambinetta stronza e asociale di Tim Burton che non uno non si aspetta, imparentata stilisticamente più con un Beetlejuice che con uno dei suoi uno dei suoi lavori più cupi. A me personalmente piace. Ma non sono il solo, perché i numeri premiano la bambinetta.
I primi due episodi guidano, prima di ingranare a pieno la marcia, verso il mondo intorno alla protagonista. C’è un sacco di gente, un traffico disumano di personaggi nei quali imparare a districarsi per capire bene psicologia ed eventi.
Incanalati verso la giusta strada, senza farsi scoraggiare dai rallentamenti (voluti?) la storia si apre e lascia spazio e momenti vibranti che sono già tormentone con alcune scene epiche, tra cui quella del ballo, dove una favolosa Jenna Ortega con un manipolatorio e ruffiano gioco di improvvisazione (voluto?) lascia senza parole e pronto al loop sia il regista che il pubblico che i tiktoker. Una onirica e magnetica danza che un po’ omaggia il gomez impersonato da John Astin, un po’ inneggia a Michael Jackson in Thriller. Ma più sexy. E zero nostalgica.
Atmosfere dark e musica sono un perfetto matrimonio e traghettano la serie verso un piglio di gran carattere, grazie anche al potere di un’eccellente fotografia con ottimi piani sequenza.
Il classico Famiglia Addams è rivisitato con un ritmo contemporaneo. Non rinuncia ad essere cupo, gotico ma sostenibile. E perfettamente comprensibile ad un pubblico di età trasversale.
E poi c’è lei. Jenna Ortega che con un gioco di sguardi sguazza nel ruolo per cui sembra nata apposta. Guarda in modo assente, gelida anche nei momenti di puro drama, per una Mercoledì inedita. Duole dirlo, pure Christina Ricci, che qui impersona un’insegnante di botanica sui generis, un po’ thurmaniana, non ha lo stesso carisma. Ho amato e non poco anche le performance di Catherine Zeta-Jones, nelle vesti una Morticia da intenditori.
Geniale la visione del regista sul compito scenico di “mano”, un personaggio perfettamente integrato nel recitato, così reale, sul pezzo ed empatico, tanto da non far rimpiangere quello degli anni sessanta.
Mercoledì risulta così una serie che riesce a fare convivere quegli elementi soprannaturali propri di una classica detective story, arrivando a stigmatizzare tutte le intolleranze e razzismi con ironia. E con un ruolo sociale, ingrediente che da un pezzo a questa parte, sembra immancabile quanto forzato ma che qui arriva senza che ce lo facciano pesare: Mercoledì, distaccata dal mondo, senza nessuna volontà di integrarsi, fa della diversità un valore aggiunto in faccia a una società iper-competitiva e classista che guarda senza farsi scalfire più di un tanto. Con una parola sarcastica e uno sguardo di sdegnato stupore, smonta pregiudizi e luoghi comuni.
E se, siamo onesti, la detective story di fondo, è gracile quanto le gambette della protagonista, la narrazione, l’atmofera, e il resto, tengono in piedi gli otto episodi in modo brillante grazie anche a scene degne di nota. L’incipit con Mercoledì che lancia nella piscina i piranha mentre passa “Je ne regret rien” di Edith Piaf, il ballo sincopato sulle note di Goo Goo Muck dei The Cramps , le versione al violoncello di Paint It Black dei Rolling Stones e di Nothing Else Matters dei Metallica, la scena del Rave, l’attentato alla statua del fondatore razzista sulle note dell’Inverno di Vivaldi, la sfida tra le squadre della Nevermore con gli equipaggi sabotati dalle sirene, sono gli esempi di cui vado pazzo. Zio Fester (Fred Armisen) si becca un epidosio intero, e a farne le spese sono Morticia e Gomez, di cui avevamo visto abbastanza in passato. La colonna sonora di Danny Elfman, i costumi di Colin Atwood e la fotografia dark di David Lanzenberg e Stephan Pehrsson cucinano alla perfezione il tono gotico dell’opera che negli episodi finali si arricchisce di un certo dosaggio di effetti speciali senza stuccare.

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