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Condannato per salvaguardare un pentito, Landolfi racconta il suo calvario giudiziario

di Edoardo Sirignano -


Condannato per non aver sconfessato un pentito. È il caso dell’ex ministro alla Comunicazione del terzo governo Berlusconi Mario Landolfi, finito nel mirino della magistratura solo per aver favorito un collaboratore di giustizia. Il politico, che oggi avrebbe potuto ricoprire tranquillamente un ruolo nell’esecutivo Meloni, considerando la sua brillante carriera in An, si è visto bloccare la sua ascesa per un’indagine della Dda di Napoli. Una vicenda raccontata, nei dettagli, dal diretto interessato, in una conferenza organizzata nella capitale. Nell’incontro, moderato dalla giornalista del Dubbio Simona Musco, l’esponente della destra campano ha raccontato “15 anni difficilissimi”. Il suo caso, infatti, si è aperto nel 2007, quando gli veniva imputata una corruzione aggravata dall’articolo 7, con tanto di accuse per aver agevolato un’organizzazione mafiosa ed è terminato nel 2023, con invece un semplice concorso per corruzione semplice di un consigliere comunale di Mondragone.

A raccontare, però, la drammaticità della triste pagina di storia giudiziaria è il capogruppo di Fi al Senato Maurizio Gasparri, il quale lo scorso 12 ottobre aveva presentato un’interrogazione: “Si è cercato di preservare la credibilità di un collaboratore di giustizia, senza però tener conto di come ci fossero delle falle nel suo racconto”. Gasparri, in particolare, ha chiesto al ministro Nordio di fare chiarezza su alcuni aspetti processuali nei quali sono state ravvisate delle vere e proprie violazioni di legge, a cominciare dall’omissione nelle motivazioni delle contraddizioni in cui era caduto Giuseppe Valente, richiamato in aula ex art. 507 c.p.p., dichiarazioni sostituite con altre già acquisite al dibattimento in quanto provenienti dal processo Cosentino e a detta dell’interrogante tagliate per la parte favorevole all’imputato. Un danno, intanto, indelebile per Mario Landolfi, la cui esistenza sarà condizionata per sempre.

Detto ciò, il Partito Radicale di Maurizio Turco non intende indietreggiare su un caso emblematico di malagiustizia: “Di queste storie, purtroppo, se ne sentono troppe. Ecco perché è una priorità per il governo intervenire in tal senso”. Una sfida, rimarcata pure dal giornalista Alessandro Barbano, per cui a un certo punto “le correnti della magistratura sono diventate cordate”. Per l’avvocato Gianpaolo Canzariti, addirittura, è stato cambiato il corso della storia: “Nel terzo governo Berlusconi, l’articolo 7, soprattutto al Sud, non veniva negato ad alcun esponente della maggioranza. Alcuni magistrati, non tutti, hanno cercato di condizionare la vita politica del Paese. Quanto detto e scritto da Palamara vale più di mille parole”.


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