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Conflitto russo-ucraino: una guerra che inizia da lontano

di Priscilla Rucco -


Il conflitto russo-ucraino non è solamente una guerra tra due paesi: è il momento in cui l’illusione post-Guerra Fredda si è infranta in maniera definitiva. L’idea che la storia fosse finita, che democrazia e mercati integrati avrebbero rasserenato il pianeta, si è dissolta il 24 febbraio 2022, quando i carri armati russi hanno varcato i confini ucraini. Le cause immediate dell’invasione risalgono al 2014 con alcuni eventi specifici: l’Euromaidan, la fuga del presidente filorusso Yanukovych, l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass. Ma le radici sono ancora più complesse. Vladimir Putin non ha mai accettato il crollo dell’Unione Sovietica come fatto definitivo. Per il leader russo, l’Ucraina non è un paese sovrano, ma parte integrante di un “mondo russo” che trascende i confini statali. L’idea che Kiev potesse scegliere l’Europa, la NATO, un futuro democratico indipendente da Mosca, era semplicemente intollerabile; bisognava quindi fare qualcosa. L’Occidente “giustifica” il conflitto come difesa dell’ordine internazionale basato su sovranità, autodeterminazione e inviolabilità dei confini. La Russia lo vede come resistenza a un accerchiamento NATO, come la rivendicazione di un diritto che spetta alle grandi potenze.

Le diverse prospettive

Sono due visioni del mondo incompatibili, e questa guerra è uno scontro frontale. L’ONU, paralizzata dal veto russo nel Consiglio di Sicurezza, può solo documentare gli orrori quali: le esecuzioni di Bucha, le deportazioni forzate di bambini e i massicci bombardamenti sistematici di infrastrutture civili. La Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato d’arresto contro Putin, ma resta un gesto simbolico finché il presidente russo mantiene il potere. Le solide basi di sicurezza costruite dopo la Guerra Fredda si sono frantumate davanti alla determinazione del Cremlino di riscrivere le regole in modo unilaterale. La guerra ha accelerato la frammentazione del sistema internazionale in blocchi. Finlandia e Svezia hanno abbandonato la neutralità storica per aderire alla NATO. La Germania ha rivoluzionato la sua politica di difesa. L’Unione Europea, concentrata per decenni su economia e “potere soft”, ha riscoperto la dimensione militare. Ma il Sud globale guarda con altri occhi. L’India, Brasile, Sudafrica hanno scelto la neutralità pragmatica, continuando a commerciare con Mosca e rifiutando le sanzioni occidentali. Sul piano economico poi, i danni sono devastanti. L’Ucraina ha perso il 30% del PIL nel primo anno di guerra, le sue città sono in macerie, le infrastrutture distrutte. La ricostruzione richiederà tra 500 miliardi e un trilione di dollari. Si parla di usare i 300 miliardi di asset russi congelati, ma le questioni legali restano irrisolte. Intanto, la guerra ha scosso i mercati energetici e alimentari globali: l’Europa ha tagliato la dipendenza dal gas russo in tempi record, i prezzi del grano sono impazziti e l’inflazione ha colpito ogni settore.

La minaccia nucleare

Putin ha ripetutamente minacciato l’uso dell’arsenale atomico, riportando il mondo al punto di non ritorno. E ha lanciato un messaggio terrificante: l’Ucraina ha rinunciato alle armi nucleari nel 1994 in cambio di garanzie di sicurezza. Altri paesi minacciati trarranno conclusioni pericolose per il regime di non-proliferazione. Paradossalmente, Putin ha ottenuto l’opposto di ciò che voleva. L’Ucraina è oggi più unita, più nazionalista, irrevocabilmente orientata verso l’Occidente. Le divisioni linguistiche e regionali si sono attenuate, in nome della resistenza comune. La memoria di Zelensky che rifiuta l’evacuazione americana – “ho bisogno di munizioni, non di un passaggio” – rimarrà simbolo di una nazione che ha scelto di combattere per la propria esistenza. Entrambe le parti hanno investito troppo per accettare compromessi che sembrino sconfitte. Per la Russia, ritirarsi senza conquiste territoriali minerebbe la legittimità del regime. Per l’Ucraina, cedere territori significherebbe tradire i caduti e legittimare l’aggressione. Un congelamento del conflitto sulle linee attuali lascerebbe irrisolte tutte le questioni fondamentali, piantando i semi di guerre future. Come si puniscono crimini di guerra senza compromettere possibilità di negoziazione? Come si garantisce la sicurezza di paesi senza protezione nucleare? La storia non è finita. I conflitti tra grandi potenze per sfere d’influenza non appartengono al passato ma sono possibilità concrete del presente. Le istituzioni internazionali si sono rivelate inadeguate quando la volontà politica di rispettarle è venuta meno. Eppure, la resistenza ucraina ha dimostrato che i popoli non accettano passivamente la dominazione, che esistono valori per cui combattere e morire. Siamo entrati in un’epoca di competizione tra grandi potenze, di scelte difficili tra interdipendenza e autonomia strategica. Dalla risoluzione di questa guerra dipenderà la natura dell’ordine internazionale: prevarrà il diritto della forza o la forza del diritto? I confini potranno essere alterati con la violenza o difesi attraverso la solidarietà collettiva? L’Ucraina è diventata simbolo di una lotta più ampia. Il suo destino dirà che tipo di mondo lasceremo alle generazioni future: uno in cui i paesi piccoli possono sopravvivere come entità sovrane, o uno in cui geografia e forza militare determinano irrevocabilmente il destino delle nazioni. La risposta si scrive ogni giorno sui campi di battaglia, ma anche nelle cancellerie diplomatiche e nella volontà dei popoli democratici di sostenere i costi necessari per difendere i principi che dichiarano di sostenere.


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