Politica

Conte, harakiri a 5 stelle. E ora Dibba può tornare

di Redazione -


L’operazione opposizione, fallimentare per Giuseppi, consegna i 5 Stelle nelle mani dell’anima pura del vecchio Movimento, Alessandro Di Battista

Ormai è solo questione di tempo. Alessandro Di Battista, classe ’78, anima pura del vecchio Movimento 5 stelle, sta per tornare. L’Opa sul movimento in mano – tribunale permettendo – a Giuseppe Conte ormai è partita. Perché Giuseppi, dietro la sua pochette, ha fatto l’errore che gli costerà la carriera politica: lui, l’uomo di governo, il grande mediatore, quello che – Dio ci perdoni – fu paragonato a Giulio Andreotti quando riuscì a passare da premier della destra Di Maio-Salvini a garante del Campo progressista con Zingaretti nella stessa legislatura, ha deciso di mutare pelle. E per inseguire le sirene della piazza ha scelto di far cadere Mario Draghi e tornare alla guida di un M5s ribelle. Peccato che abbia fatto i conti senza l’oste. Anzi, abbia fatto il regalo più grande e inatteso all’uomo che con ogni probabilità gli farà le scarpe: Dibba.
Facciamo un passo indietro. L’Estate sta finendo… un governo se ne va. Così, nell’Italia del Palazzo balneare che rischia di mandare al tappeto nientemeno che il Professor Mario Draghi, al secolo l’Ultima Riserva della Repubblica, canterebbero oggi i Righeira. Ma soprattutto, pur con chitarre da spiaggia e accordi ancora un po’ imparaticci, questa è la melodia che prende spazio fra i fan di Alessandro Di Battista nel cuore dell’estate. Solo qualche tempo fa aveva postato qualche riga (un po’ come si faceva ai vecchi tempi del blog di Beppe Grillo, quando ancora dettava legge, quando i giornaloni lo sbeffeggiavano e poi mettevano gli stagisti sottopagati del turno di notte a fare la posta alle bizze del comico genovese).
Tutti a casa entro l’estate, oppure sarà tardi. Aveva detto più o meno così. E l’obiettivo era duplice: spaventare Conte, l’ex premier buono per tutte le stagioni – il governo con il Salvini del Papeete e quello con Zinga-Letta e il politically correct di marca piddina – pescato dal bussolotto grillino del 2018, con quella pettinatura un po’ così, spingendolo a scaricare il “Governo dei Migliori” entro, appunto, l’estate. E lasciando Luigi Di Maio e il suo partitino di centro al loro destino. Con una piccola clausola non scritta, che chi mastica la politica però legge subito: il grande rientro di Dibba a capo del Movimento delle origini, pur riveduto e corretto.
Che se ne fa Grillo dell’ex premier moderato e impomatato, quando la strada è la ribellione, quando la Nato è di nuovo cattiva, quando la Russia non è un tabù? Chi meglio del Dibba, che – credendo nei Cinque Stelle della prima ora – aveva rinunciato al seggio a Montecitorio nel secondo (e ultimo, almeno in teoria), mandato a 5 stelle, mandando avanti il gemello diverso Luigi Di Maio, ambizioso, giacca e cravatta, ex bibbitaro in cerca di potere e fama, quindi pericoloso? La sua speranza era che Giggino si avviluppasse in una legislatura breve, per poi risalire lui, l’Originale, il reporter del Sud America e della Russia, in sella al cavallo grillino.
Un piano ingenuo, forse, che rischiava di fallire e di rendere Dibba residuale. Salvo l’imprevisto. L’incredibile. Lo strappo di Di Maio, mutatosi in poche ore in una specie di Badoglio a cinque stelle che spreca dieci anni da leader per mettersi a coltivare l’erba del solito praticello di centro. Ma che oggi – grazie all’abracadabra di Conte che di punto in bianco fa cadere il governo Draghi – si ripresenta davanti a lui pronto per essere portato a termine.
Ed ecco che i post di Dibba tornano a parlare di politica. “Si appellano al senso di responsabilità quelli che, negli ultimi anni sono stati responsabili solo del loro culo”, tanto per cominciare. “Parlano di rispetto delle istituzioni coloro i quali hanno violentato la massima istituzione del Paese, il Parlamento, togliendogli ogni dignità”. E ancora: “Vedremo cosa accadrà… se dovesse cadere il governo dell’assembramento (io non sono così sicuro) sarebbe un’ottima notizia”.
E così ormai, fuggiti i moderati dimaiani, ecco che nei Cinque stelle i nuovi “strateghi” usano Conte per preparare la strada a Di Battista. Che in queste ore, pur ancora lontano dall’Italia, sta al telefono dalla mattina alla sera. Non poteva fargli un favore migliore Conte, che ripudiare quattro anni al governo e la strada, pur ostica, di una figura politica di mediazione fra la rivoluzione impossibile della prima ora e le riforme possibili.
Ma ormai è tardi. Il domino è partito. E Conte non s’è reso conto che stava di nuovo portando acqua. Proprio come all’inizio. Ha poche ore per frenare la deriva. La deriva generata da lui e dalle sottovalutazioni che Enrico Letta, leader del Pd, ha fatto del disastro che avrebbe potuto generare il braccio di ferro con i grillini, partito dall’ennesimo favore al sindaco di Roma, che poverino voleva il termovalorizzatore proprio nel Dl Aiuti. Invece che pensare a ripulire le strade di una capitale mai così abbandonata dai tempi che furono. Già. Rischiano di trovarsi in due con il cerino in mano: Conte, che non avrà più un partito, ma soprattutto un contenitore per cui la sua figura politica abbia senso. E Letta che non avrà più un alleato vero, per quanto ammaccato, con cui testare i motori della campagna elettorale. Che si giocherà con il Rosatellum.Forse meglio Garofanellum.


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