Politica

Correnti e serpenti

di Eleonora Ciaffoloni -

ELLY SCHLEIN


È una Elly Schlein a due facce quella che segna sul calendario il suo primo mese da segretaria del Pd. Agli occhi dei tanti c’è una Schlein alla ribalta, che tocca le piazze italiane tra manifestazioni e cortei, palchi e platee prendendo applausi e recuperando consensi tra gli elettori. Ma anche una Schlein che sfila con gli omologhi europei tra i palazzi delle istituzioni comunitarie, stringendo molte mani e spesso accordi – o meglio, promesse – per far risentire la presenza del Partito Democratico con i colleghi. E c’è la Schlein che con l’armatura di guerra recuperata qualche settimana fa dalle soffitte del Nazareno si appresta, appena le è possibile, a fare la guerra in Parlamento a tutta la maggioranza, ma soprattutto alla premier Giorgia Meloni. Un duello che funziona e che è apprezzato da chi la politica la racconta, ma anche dagli elettori, che sembrerebbero essere tornati a fare capolino dalle parti della sinistra. I sondaggi parlano sì di una Meloni (anzi, di Fratelli d’Italia) che mantiene saldamente il 30%, ma soprattutto di una Schlein (anzi, di un Pd) che recupera punti collocandosi – seppur dieci punti indietro – al secondo posto. È vero che le intenzioni di voto, non significano sempre una vera preferenza nella realtà, ma almeno al momento il Nazareno possono tirare un sospiro di sollievo. Ma solo se si parla di numeri. Perché l’altra faccia della medaglia ci racconta una storia un po’ diversa.
L’ALTRA FACCIA
La faccia che Schlein ci ha mostrato in Parlamento, a Bruxelles, a Rimini, a Milano e a Firenze è quella sicura, quella di ripartenza del Pd, quella di entusiasmo e di ritorno a sinistra. Ma come in una trasposizione de Il Ritratto di Dorian Gray, dentro al Nazareno si nasconde il quadro con la vera faccia – o almeno quella che rappresenta la reale situazione del partito. Non riescono più a nascondersi dietro i sorrisi i malumori legati alla nuova divisione delle poltrone che si allontanano dal gruppo degli sconfitti. A Elly Schlein, dopo la luna di miele post primarie, che l’ha vista andare di fiore in fiore a raccogliere consensi, le aspetta un fine settimana di fuoco tra proposte e accordi con i colleghi, per fare il passo decisivo verso la scelta dei nuovi capigruppo alla Camera e al Senato scelti tra i suoi fedelissimi – Francesco Boccia e Chiara Braga – non accettati dall’ala riformista. Chiaro che, alcune poltrone, come la vicepresidenza, andranno verso il gruppo di minoranza, ma nonostante i tentativi di equilibrismo, c’è maretta. La dirigenza è cambiata, ma è il solito Pd: gli sforzi di Schlein di prendere nuova posizione su tematiche peculiari – vedi diritti civili, lavoro, alleanze – a nulla possono contro i capisaldi dei dem, un ginepraio da cui è difficile uscire e su cui è difficile mantenere il controllo. Lo ha dimostrato, per ultimo, il voto positivo all’invio di armi in Ucraina, la nuova segretaria non ha tentato la staccata, anzi, ha dimostrato di poter fare ben poco. Eppure, anche quando una posizione riesce a prenderla, non sempre i capi bastone del Pd sembrano sostenerla.
UN BONACCINI NELL’ARMADIO
Difficile per Elly Schlein remare contro vento, difficile gestire un partito frammentato e ancora ricco di franchi tiratori. E così, i toni trionfalistici della nomina di presidente di Stefano Bonaccini, si trasformano in sussurri. Oggi, lo sconfitto delle primarie ha convocato una riunione con i parlamentari che lo hanno sostenuto in campagna elettorale – tra cui le “uscenti” Serracchiani e Malpezzi – per fare il punto della situazione in vista della riunione dei gruppi fissata per lunedì pomeriggio. Non sembra essere stata gradita “l’autogestione” di Schlein sulla scelta dei capogruppo, ma Bonaccini rimane presidente di garanzia del partito e, nonostante “l’accordo lontano” tra le parti, deve cercare di evitare lo strappo interno. Bonaccini e Schlein hanno promesso una “gestione unitaria” e per ora questa non sembrerebbe essere rispettata. Eppure, se in molti sembrano chiedere al governatore dell’Emilia-Romagna di erigersi a capo dell’opposizione interna, lui rimane fermo alla promessa fatta all’assemblea di due settimane fa quando la neosegretaria lo ha nominato presidente. E così il “secondo” di Schlein dovrà provare a dare una botta al cerchio e una alla botte: tenere le redini di un partito – su cui Schlein sembra avere poca presa – e tenere a bada gli esponenti della base riformista ed ex renziani che sembrano gradire sempre di meno la piega presa dal nuovo Partito Democratico.

Torna alle notizie in home