Esteri

Corte Ue sentenzia: “Possibile vietare i simboli religiosi sul lavoro”

di Martina Melli -


La Corte Ue ha sentenziato che l’amministrazione pubblica degli Stati membri può vietare a un dipendente di indossare simboli religiosi, filosofici o spirituali sul luogo di lavoro. La delibera è arrivata ieri ed era partita dal caso di una donna di Ans, in Belgio, a cui era stato rifiutato un tirocinio per via del regolamento interno all’azienda secondo cui nessun dipendente doveva indossare copricapo, compreso il velo islamico. Un divieto di questo tipo, evidenziano gli eurogiudici, “non è discriminatorio se viene applicato in maniera generale e indiscriminata a tutto il personale dell’amministrazione e si limita allo stretto necessario”.

La sentenza vale anche al contrario: una pubblica amministrazione può autorizzare, in modo generale e indiscriminato, l’uso di segni visibili di fede. La donna aveva lanciato un ricorso legale, sostenendo che il suo diritto alla libertà di religione era stato violato. L’hijab, il tradizionale foulard indossato intorno alla testa e alle spalle, è da anni fattore di controversie in tutta Europa.

Le autorità degli Stati membri hanno dunque un margine di discrezionalità nel definire la neutralità del servizio pubblico che intendono promuovere. L’importante, ha affermato la Corte, è che ci sia coerenza e sistematicità, e che le misure vengano limitate allo stretto necessario.

Una sentenza piuttosto ponderata, considerato che non si tratta di una “regola” a livello nazionale e non si limita al caso singolo. In un Paese multietnico dove convivono fedi diverse, la neutralità di un ufficio pubblico facilita l’integrazione tra colleghi e contrasta i pregiudizi; mette a proprio agio i cittadini e allo stesso tempo protegge i dipendenti da eventuali fanatismi religiosi provenienti dall’esterno.

La questione del velo viene dibattuta da decenni in Europa e anche la Corte Europea dei Diritti Umani si è pronunciata varie volte in merito. Il primo caso risale al 2001, quando un’insegnante di scuola primaria convertita all’Islam aveva fatto appello a Strasburgo dopo il divieto di indossare il velo in classe. In quel caso la Cedu considerò il no al velo giustificato nell’ottica di tutelare gli studenti. Anche nel 2014 (Sas contro Francia) la Corte difese il diritto della Convenzione della legge francese dell’11 ottobre 2010, di proibire l’occultamento del volto negli spazi pubblici.


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