Economia

Crediti fiscali incagliati e non: maggiori opportunità per le banche dopo i chiarimenti della Banca d’Italia

di Vincenzo Castellano -


La Banca d’Italia in una nota pubblicata il 23 luglio scorso ha fornito importanti chiarimenti in tema di crediti d’imposta introdotti dal DL 18/2020 (c.d. “Cura Italia”) e dal Decreto Rilancio (DL 34/2020). In particolare, ai tecnici di Palazzo Koch, era stato richiesto di chiarire il trattamento prudenziale per il rischio di credito che le banche applicano in caso di acquisto dei crediti introdotti dai Decreti e se il medesimo trattamento prudenziale potesse essere applicabile anche nel caso di acquisto di crediti d’imposta con finalità di rivendita a terze parti sulla base di accordo appositamente stipulati con queste ultime.

Per quanto attiene al trattamento contabile la nota, riprendendo il Documento Banca d’Italia – Consob – Ivass n. 9, conferma che i crediti d’imposta in parola sono sul piano sostanziale più assimilabili a un’attività finanziaria.

Fornito questo primo importante chiarimento la Banca d’Italia tiene ben distinti due ipotesi concrete: la prima in cui la banca acquista i crediti d’imposta per utilizzarli esclusivamente in compensazione per il versamento dei propri debiti fiscali, e una la seconda in cui la banca acquista i crediti d’imposta in misura eccedente le proprie esigenze fiscali (i.e. tax capacity), al fine di rivendere detti crediti.

Per quanto riguarda il trattamento prudenziale, viene chiarito che le esposizioni creditorie trasferite con l’acquisto di crediti d’imposta sono assimilabili alle esposizioni verso “Amministrazioni centrali e banche centrali” e, pertanto, il fattore di ponderazione per il calcolo del rischio è lo 0%. Sulla base di ciò, e ci troviamo nella prima ipotesi, le banche fanno in modo di acquistare l’ammontare di crediti d’imposta in funzione della propria capienza tributaria attuale e prospettica evitando così l’acquisto di crediti d’imposta in misura eccedente i debiti tributari e previdenziali per il cui versamento possono essere utilizzati in compensazione i crediti d’imposta acquistati. Di fatto gli istituti di credito esauriti i propri plafond smettono di acquistare i crediti d’imposta.

Riguardo la seconda ipotesi, la Banca d’Italia evidenzia che l’attività di acquisto di crediti d’imposta con finalità di rivendita a terzi (c.d. “gestione attiva”) denota un intento di negoziazione di tali crediti che espone la banca a rischi aggiuntivi e ulteriori rispetto a quelli coperti dalla disciplina sul rischio di credito della prima ipotesi. La banca che intende adottare questa strategia acquista i crediti d’imposta in eccedenza rispetto al plafond fiscale e deve, dunque, ponderare tutti i rischi connessi a questa operatività e considerare i contratti di rivendita alla stregua dei contratti derivati che sono quindi soggetti altresì a quanto previsto per i rischi di controparte. La Banca d’Italia specifica anche che la tipologia del derivato può variare in relazione alle clausole contrattuali: a mero titolo esemplificativo, un contratto di rivendita irrevocabile e vincolante per entrambe le parti è trattato alla stregua di un derivato di vendita a termine (i.e. forward), mentre un contratto di rivendita condizionato è trattato come una posizione corta su opzione call.

Tutto questo significa che la banca deve dotarsi di adeguate politiche e processi di governo e gestione del rischio in modo da assicurare che i rischi derivanti dall’acquisto di crediti d’imposta di ammontare superiori al plafond siano correttamente identificati. Questa valutazione, suggerisce la circolare, è condotta da ciascuna banca con riferimento alla propria operatività e deve considerare la possibilità che il credito d’imposta non sia riconosciuto più come valido ai fini della compensazione, che il cessionario non paghi il prezzo di cessione (magari perché è insolvente), l’eventuale sequestro di crediti d’imposta da parte delle autorità competenti ma anche il rischio che i crediti d’imposta in portafoglio risentano dell’andamento dei tassi d’interesse (al pari di ogni altra attività finanziaria). Tutti questi rischi, come è stato chiarito, non si presentano quando la banca compra crediti di imposta per utilizzarli in compensazione direttamente con i propri debiti verso il Fisco.

I chiarimenti forniti dalla Banca d’Italia definiscono in modo chiaro il perimetro in cui le banche possono agire e ritengo possano essere preziosi per fornire agli istituti di credito l’opportunità di espandere la propria operatività e incrementare l’acquisto di crediti d’imposta dagli imprenditori anche con chiare finalità di rivendita a terzi.

E in questa direzione va anche la proposta di triangolazione proposta di recente dall’associazione degli Esodati del Superbonus nel corso degli incontri avuti con il Mef. Forti dei recenti chiarimenti della Banca d’Italia le banche possono interporsi, con finalità di trading, tra una platea di cedenti originari (interessanti allo smobilizzo) e una di cessionari finali (diversi da soggetti qualificati, es. imprese) interessati all’acquisto di crediti d’imposta per finalità di compensazione.

*Partner di ACT Studio Tributario Societario


Torna alle notizie in home