Attualità

CRESCE IL DISTACCO POPOLO-POLITICA

di Claudio Capotosti -


Il 17 e 18 ottobre molti italiani torneranno alle urne per il turno di ballottaggio e c’è molta attesa per il risultato che riguarderà soprattutto Roma e Torino, due città che hanno conosciuto l’amministrazione grillina e che hanno voltato le spalle ai pentastellati mandando al duello finale i candidati del centrodestra e del centrosinistra. Si è tornati quasi dappertutto al vecchio bipolarismo, spazzato via dall’avvento del M5S, ma, con il tramonto di questo anche con la guida contiana, il dualismo ha ripreso forza. Ora si torna a votare con il centrosinistra che canta vittoria per i risultati del primo turno e con il centrodestra che si lecca le ferite di un mancato balzo in avanti che era nelle sue aspettative. Anche i commentatori politici si sono soffermati in particolare sui risultati dei partiti, dimenticando quello che, a mio giudizio, è il dato più importante del turno amministrativo del 3 e 4 ottobre: l’assenteismo. Quasi un italiano su due, infatti, non si è recato alle urne, dimostrando disaffezione verso la politica. In tanti hanno affermato che questa crescita dell’astensione è un fenomeno quasi fisiologico, che ci rende sempre più simili alle grandi democrazie occidentali, dove i votanti si aggirano sempre sulle percentuali raggiunte da noi qualche giorno fa. Ci permettiamo di dissentire, Se gli italiani sentono sempre di meno il richiamo elettorale è soprattutto colpa della politica, sempre più meno attenta alle istanze del popolo. Ad incidere sul rapporto, che si va deteriorando giorno per giorno, tra elettori e classe dirigente sono soprattutto due fattori: il crollo delle ideologie e l’avvento di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio. Andiamo per ordine. CROLLO DELLE IDEOLOGIE – Da tempo i partiti non sono più portatori di un’ideologia, ovvero hanno rinunciato a farsi promotori di un determinato tipo di società e di Stato. Da ideologici sono diventati rappresentanti di interessi, di questa o quella categoria, ma in una società come quella dei giorni nostri, con la sparizione delle classi (dove è finita quella operaia? E che fine ha fatto il ceto medio?), la rappresentanza di questi interessi è diventata sempre più difficile e complicata. I partiti hanno finito così a sembrare quasi tutti uguali agli occhi degli elettori, risvegliati solo da qualche battaglia di bandiera che destano interesse sempre più a meno persone (l’antifascismo per il centrosinistra e la lotta all’immigrazione illegale e la sicurezza per il centrodestra). L’AVVENTO DI DRAGHI – Sembrerà strano, ma la designazione da parte del capo dello Stato, Sergio Mattarella, di Mario Draghi a presidente del Consiglio, accettata da quasi tutte le formazioni politiche presenti in Parlamento, ha accentuato il distacco tra elettori e partiti. L’ex presidente della Bce, infatti, può essere considerato “un solo uomo al comando” che non può fare a meno del sostegno della politica, ma che la politica sostiene, più o meno convintamente, perché appare come l’unico che può traghettare l’Italia fuori dalle secche della grave crisi economica e sociale nella quale l’Italia versa da tempo e che è stata ulteriormente zavorrata dalla pandemia di covid. Il fatto che nel governo e nella maggioranza ci siano un po’ tutti, da Leu alla Lega, con l’opposizione “collaborativa” di FdI, ha portato all’annacquamento delle differenze tra i partiti, ad un appiattimento di posizioni sulla linea tracciata da Draghi, che appare l’unica in grado di farci ottenere i sostanziosi finanziamenti che ci vengono dall’Europa. In questo contesto, e con le elezioni politiche che, tranne Giorgia Meloni ed in parte Matteo Salvini, nessuno vuole anticipare prima della scadenza naturale della legislatura (2023), i cittadini hanno perso molto interesse verso la politica. Il “tutti insieme appassionatamente”, inoltre, ha di molto ridimensionato il voto di protesta che negli ultimi anni aveva premiato prima i cinquestelle (voto del 2018), poi la Lega (europee del 2019) e che ora sembra essersi rivolto in modo ridotto verso FdI. La nuova scelta di tanti cittadini-elettori sembra quindi essere l’astensionismo, non solo in segno di protesta verso la politica che sembra aver abdicato alle sue funzioni ed al suo ruolo di guida (l’ultimo presidente del Consiglio legittimato dal voto delle urne è stato Silvio Berlusconi, che nel 2011 lasciò Palazzo Chigi a favore di Mario Monti. Poi abbiamo avuto Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte ed ora Mario Draghi, tutti non indicati sulla scheda elettorale, o addirittura non candidati ad un seggio parlamentare, ma scaturiti da alchimie politiche o da designazioni del Quirinale). Cosa succederà nei prossimi mesi? Diminuirà il distacco tra popolo e politica?. Sembra difficile. Intanto i partiti baruffano, o fanno finta di farlo, perché sicuri che, trovandoci nel “semestre bianco” che precede l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, le Camere non possono essere sciolte. Intanto Draghi prosegue spedito e tranquillo. Sa che, se dovrà lasciare Palazzo Chigi, lo farà per traslocare , nei primi mesi del prossimo anno, in un altro palazzo, quello del Quirinale.


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