epa12116119 European Commissioner for Economy and Productivity, Implementation and Simplification, Valdis Dombrovskis, gives a press conference to present the European Commission's Spring 2025 Economic Forecast in Brussels, Belgium, 19 May 2025. The Commission's Spring 2025 Economic Forecast projects real GDP to grow by 1.1 percent in 2025 in the EU and 0.9 percent in the euro area, broadly the same rates recorded in 2024. In 2026, growth is expected to accelerate to 1.5 percent in the EU and 1.4 percent in the euro area. EPA/OLIVIER HOSLET
Dazi nostri: l’Ue taglia le previsioni di stima sulla crescita (anche) per l’Italia. Bruxelles teme l’incertezza mentre fa i conti in tasca agli Stati membri. Undici dei quali, per ora, restano sotto la scure del Patto di Stabilità con la speranza che, nel 2026, si ridurranno a nove. I numeri diffusi dalla Commissione Ue non sembrano restituire il quadro di una realtà idilliaca. L’esecutivo ritiene che la crescita italiana, rispetto a novembre scorso quando Trump ha vinto le elezioni negli Stati Uniti ma ancora era lontano dall’entrare alla Casa Bianca per la seconda volta, sarà pari, nel 2025, allo 0,7% mentre un po’ meglio andrà nel 2026 quando il Pil salirà dello 0,9%. Piove sul bagnato dal momento che le previsioni pubblicate prima che il nuovo presidente americano s’insediasse erano già tagliate anche se prospettavano una crescita pari a un punto intero per quest’anno e all’1,2% per il 2026. Sul fronte inflazione, invece, per l’Italia si parla di un biennio al di sotto della soglia del 2% con un tasso inflattivo pari all’1,8% nel 2025 che scenderà ulteriormente, all’1,5%, durante l’anno successivo. Resta, invece, un guaio il tema del debito. Pesano, ancora, le conseguenze del Superbonus che porteranno il rapporto debito-Pil al 138,2%. A un soffio, per capirsi, dalla Grecia che punta a centrare il traguardo del 140,6%. Per il governo si tratta di un problema grosso. Ma condiviso, almeno quest’anno, con altri dieci Paesi europei. Se si prende in considerazione un altro indicatore, e cioè il rapporto deficit-Pil, l’Italia non è sola nella lista dei cattivi che superano il 3%. Roma è in ottima compagnia: Belgio, Malta, Austria, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, Francia e Spagna. “Si prevede che nel 2026 la maggior parte degli Stati membri registrerà disavanzi inferiori a quelli registrati prima della pandemia”, ha dichiarato Dombrovskis. E uno dei Paesi candidati a fare bene pare proprio l’Italia che, nel 2026, potrebbe centrare l’ambizioso obiettivo. La pandemia, però, è la pietra centrale da cui prende le mosse il discorso fatto dallo stesso commissario lettone per illustrare le ragioni alla base dei nuovi tagli alle previsioni operati dalla Commissione. La causa prima è sempre la stessa: l’incertezza causata dai dazi americani. Che pesa su tutti, persino sulla Germania che, se tutto andrà bene, crescerà zero nel 2025. “La logica imprevedibile e apparentemente arbitraria ha portato l’incertezza sulla politica economica globale a livelli mai visti dai momenti più bui della pandemia di Covid-19. Da quando è entrata in carica a gennaio la nuova amministrazione statunitense ha aumentato i dazi sulle importazioni di beni da un numero crescente di partner commerciali e su beni specifici. L’aliquota tariffaria media applicata dagli Stati Uniti sulle importazioni è oggi più alta che in qualsiasi altro momento dagli anni Trenta”. Una situazione così inedita da indurre gli analisti di Bruxelles ad abbassare le prospettive di crescita dell’area euro allo 0,9% nel ’25 e all’1,4% per l’anno seguente. Un disastro se si pensa che, solo quest’anno, mancherà ben mezzo punto di Pil. Tuttavia, è proprio Dombrovskis a non voler cedere allo sconforto: “L’economia Ue sta mostrando resilienza nonostante le forti tensioni commerciali e l’aumento dell’incertezza globale. Sostenuta da un solido mercato del lavoro e dall’aumento dei salari, si prevede che la crescita continuerà nel 2025, seppur a un ritmo moderato”. Buona notizia, inoltre, anche la discesa dell’inflazione che “sta diminuendo più rapidamente di quanto previsto in precedenza”. Ma il problema (vero) è altrove. Ed è quasi un tabù a Bruxelles: “Non possiamo abbassare la guardia. I rischi per le prospettive rimangono orientati al ribasso, quindi l’Ue deve adottare misure decisive per rafforzare la nostra competitività”. Basterebbe sfogliare il (ponderoso) rapporto Draghi. Meglio dedicarsi alla celebrazione, almeno per ora, del ritrovato accordo con Londra. Ue e Regno Unito hanno firmato, ieri, un’intesa sulla base della quale si alleggeriranno i controlli doganali e si avvierà una collaborazione più intensa, per 12 anni, sulla pesca. A riportare l’attenzione sui problemi dell’economia e della produttività ci ha pensato il Centro studi di Confindustria. Che ha sottolineato, insieme alle previsioni non proprio lusinghiere, anche i pericoli che incombono sull’Italia. Se i dazi bloccano gli investimenti e possono paralizzare l’export, rimane il (grosso) problema del prezzo dell’energia. Che è in calo, però. Perché ci si attende una crescita, in Ue quanto in Italia, minore e, pertanto, ci si aspettano consumi ridotti. Tuttavia, la discesa dei costi energetici – che per l’Italia restano troppo alti rispetto ai partner europei – potrebbe agevolare l’ulteriore taglio del costo del denaro che, a sua volta, potrebbe concedere più ossigeno e credito alle imprese. Italiane e non. Infine il paradosso dell’occupazione: più lavoro dovrebbe significare più consumi ma la grande paura dei dazi blocca (anche) le famiglie che hanno ripreso a risparmiare. Del resto la ferita del Covid e quella del caro energia sanguinano ancora e hanno insegnato fin troppo agli italiani.