Cultura & Spettacolo

Crimini irrisolti sotto la Mole: Su Sky stanno arrivando i misteri

di Nicola Santini -


“Mostri senza nome – Torino” è la nuova produzione originale Crime+Investigation che indaga sui cold case più misteriosi d’Italia, dopo il grande seguito ottenuto dalle edizioni ambientate a Roma, Milano e Genova. L’avvio sul piccolo schermo è previsto per martedì 23 maggio alle 22.55 su Sky, canale 119. Anche quest’anno un conduttore d’eccezione ad accompagnarci in un viaggio alla scoperta della verità, l’attore teatrale e conduttore di Radio 24, Matteo Caccia. Con “Mostri senza nome – Torino” si raccontano 4 storie, due delle quali a cavallo tra gli anni Ottanta e novanta e due negli anni 50. Attraverso scrupolose interviste agli esperti, ai legali ed ai familiari delle vittime, Matteo Caccia approfondirà quattro storie di delitti irrisolti che hanno come sfondo Torino e la sua provincia.
Sono le storie di 4 persone innocenti, 4 cold case che ancora aspettano giustizia: Mario Gilberti, Giorgia Padoan, Eleuterio Codecà e Franca Demichela. Il primo episodio, “Diabolich – L’assassino grafomane”, è ambientato nel febbraio del 1958, quando Mario Giliberti, un operaio FIAT, viene trovato ucciso, martoriato da 18 coltellate, in circostanze alquanto misteriose.
L’omicidio fu annunciato da una lettera mandata sia in Questura che alla stampa dall’assassino che con un gioco di parole indicava la scena del crimine, diceva di essersi vendicato di un amico che lo aveva tradito e si firmava “Diabolich”, come il protagonista del romanzo poliziesco “Uccidevano di notte” di Italo Fasan.
L’omicida lasciò anche un bigliettino sulla scena del crimine: «Riuscirete a trovare l’assassino?» Al centro di un’aspra battaglia legale, combattuta a colpi di perizie calligrafiche, ci fu un unico indiziato, un amico della vittima, un giovane di famiglia benestante che aveva fatto con lui il servizio militare e con lui era al centro di pettegolezzi su una presunta “amicizia particolare” che li legava (così la definivano i giornali dell’epoca).
Indagini inconcludenti, caso mediatico dovuto alle varie lettere-rebus inviate dall’assassino alla stampa, pericolo di clamoroso errore giudiziario, fanno crescere la leggenda del delitto perfetto.
Il misterioso e beffardo killer di via Fontanesi è rimasto così nella storia. Il secondo episodio, intitolato “La fine di Giorgia”, andrà in onda il 30 maggio: è il 9 Febbraio 1988, Giorgia Padoan, bella, alta, vivace ed intelligente, apre la porta della sua casa nel centro di Torino, sicura di far entrare un amico che non le avrebbe mai fatto del male, un giovane robusto, alto un metro e ottanta circa, con scarpe numero 44. Giorgia ha offerto un caffè al suo ospite che però l’ha aggredita cercando di spogliarla del pigiama che indossava, per abusare di lei. Senza riuscirci. Giorgia ha lottato con tutte le forze, ma ha dovuto soccombere al suo assassino che le ha stretto una catena intorno al collo fino ad ucciderla. Nella colluttazione le due tazzine di caffè sono cadute a terra e il killer ha lasciato un segno, un’impronta della sua scarpa n.44 sul caffè. Sembra un omicidio narrato da Agatha Christie, inizialmente di facile soluzione, con tante ipotesi verosimili che potrebbero dare una svolta all’inchiesta. Ma questa svolta non arriverà mai. Nel 2013, si riaprì il fascicolo partendo da una telefonata che il padre di Giorgia aveva ricevuto a casa pochi giorni dopo l’omicidio. Un ragazzo con la erre moscia gli aveva chiesto perdono confessando di essere lui il colpevole, ma di averla uccisa involontariamente, per disgrazia. La telefonata fu prontamente registrata e una perizia fonica stabilì una seria compatibilità tra la voce al telefono e quella di un ex studente del corso di laurea di Giorgia, già sentito ai tempi. L’uomo, incensurato, diventato nel tempo un professore, venne indagato per omicidio volontario e interrogato dopo una perquisizione in casa senza successo. Il professore durante l’interrogatorio si dichiarò cardiopatico e quindi incapace di sostenere le pesanti accuse, negò di conoscere Giorgia e produsse un alibi per il giorno della morte. La Procura dovette rinunciare perché non c’erano abbastanza prove per sostenere un’accusa in tribunale. Dopo 34 anni l’assassino è ancora avvolto nell’ombra.


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