Economia

Vendesi Italia Disperatamente

La crisi energetica terrorizza imprese e famiglie. Il governo sembra tentennare. Ma c’è già un piano per mettere sul mercato le infrastrutture principali del Paese

di Alessio Gallicola -


La crisi energetica terrorizza imprese e famiglie. Il governo sembra tentennare. Ma c’è già un piano per mettere sul mercato le infrastrutture principali del Paese.

Il periodo è caratterizzato da enorme confusione, a livello istituzionale e politico. L’accoppiata Covid-crisi energetica ha gettato nello sconforto i governi dei principali Paesi europei, che si dibattono tra la voglia di accontentare famiglie e imprese vittime del caro bollette e la stretta di Bruxelles, che “consiglia” parsimonia. Un’apparente nebbia avvolge le strategie delle cancellerie europee e dello stesso esecutivo di Palazzo Chigi, che continua a rinviare i provvedimenti per mettere davvero in sicurezza l’inverno. Poi, però, arrivano quei fasci di luce che in un attimo illuminano lo scenario, rendendo tutto più chiaro. La lampadina si chiama “EY Infrastructure Barometer”, il sondaggio annuale che la multinazionale della consulenza direzionale Ernst&Young realizza tra dirigenti di grandi aziende, istituti finanziari e società di private equity del settore infrastrutturale di tutto il mondo. Dall’indagine emerge che il 56% dei manager intervistati si dice convinto che nei prossimi 12 mesi il volume dei propri investimenti in Italia aumenterà rispetto all’anno in corso. Il che, in soldoni, significa che l’Italia conserva ancora, nonostante la narrazione imperante, un appeal nei confronti degli investitori esteri. E qual è la macroarea sulla quale indirizzare il focus? Ma certo, le infrastrutture. Tra le quali, sorpresa, campeggiano quelle energetiche. Sì, proprio loro, i grandi hub di produzione di energia, sui quali, da buoni italiani, ci dividiamo come guelfi e ghibellini, mentre quelli che muovono le leve del business hanno già ideato le strategie necessarie per realizzarle in barba alle proteste degli improvvisati comitati locali o di partiti e movimenti in perenne campagna elettorale.

La garanzia per chi deve investire danaro è data dalla qualità delle infrastrutture italiane, che viene considerata perfettamente in linea con la media europea: ciò vale particolarmente per il settore dell’energia, giudicato qualitativamente in linea con l’Ue dal 57% degli intervistati e lodato da un buon 26% del campione che lo considera addirittura migliore rispetto alla media europea. E allora, come sembra scontato, partirà l’assalto alla diligenza, con buona pace di chi propugna politiche protezionistiche in campo economico. E gli investitori dovranno trovare un campo arato, possibilmente dissodato dalle buche di un debito di bilancio che già rappresenta un fardello troppo gravoso. Si spiega probabilmente così l’ostinazione del premier Draghi nel non voler trovare le risorse per pagare le bollette degli italiani tramite uno scostamento di bilancio, che produrrebbe ulteriore debito.

Le condizioni ci sono tutte, come spiega Marco Daviddi di Ey: “La nuova edizione dell’Infrastructure Barometer ci restituisce un quadro che guarda al futuro con fiducia e sottolinea come sia particolarmente rilevante e significativa l’attenzione degli investitori internazionali verso le diverse asset class infrastrutturali italiane. La sfida attuale è quella di superare i tradizionali freni amministrativi e burocratici che limitano lo sviluppo green field; in questa ottica il Pnrr può imprimere una concreta accelerazione al settore, anche grazie al programma di riforme ipotizzato”. Al di là degli inglesismi di prassi, le parole chiave ci sono tutte: fiducia, attenzione, superare la burocrazia e Pnrr. Sì, quel Piano che Draghi e i suoi difendono con vigore dalle eccezioni di chi, Meloni su tutti, sostiene che vada almeno ridisegnato alla luce della grande crisi energetica.

Italia in vendita, dunque, almeno nei suoi asset principali, le infrastrutture, che consegnano all’economia del Belpaese le dimensioni giuste per essere considerata affidabile. Al di là e al di fuori della guerra in Ucraina, che gli investitori non ritengono abbia un impatto rilevante sulle loro attività di sviluppo. Il 65% non si aspetta un calo significativo dei ricavi o della redditività nei prossimi 12 mesi e il 32% ritiene che non influenzerà la propria strategia di investimento.


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