Attualità

Crisi in Medio Oriente: dentro il cuore del nemico 

Quando il bisogno di schierarsi supera il desiderio di capire,  anche l’umanità si perde tra Fake news, propaganda e sabbia in bocca. 

di Andrea Fiore -


Quante volte abbiamo detto o sentito dire: “La notte porta consiglio”, niente di più vero. Prima di chiudere gli occhi facciamo il resoconto quotidiano o prepariamo il nuovo ordine del giorno. 

Lo facciamo per una bolletta troppo salata, una grana lavorativa o un amore che ci accende il cuore. Pensiamo a cosa è successo, cosa succede, e cosa succederà.

Capita anche quando un’idea ci rimbalza nella mente e ci fa ridere, piangere, sperare o fantasticare

Ma il mattino successivo, una volta svegli, ci ritroviamo inesorabilmente, bombardati da notizie, video, commenti e post, che ci ricordano che la guerra è lì. 

Ci sentiamo come se avessimo un pugno sabbia in bocca, respiriamo solo attraverso un filo d’aria dal naso. Abbiamo sete e cerchiamo disperatamente di capire chi sono i buoni e chi sono i cattivi, per sputare quella sabbia, piantare una bandiera e tornare a respirare e deglutire normalmente.

Da che parte stare (e perché non basta)

Resta, però, ugualmente l’amaro in bocca: sappiamo che la nostra scelta è stata più o meno condizionata dalla sete e dallo spirito di sopravvivenza. 

Eppure ci siamo documentati. I media hanno chiarito da che parte stare. Siamo una comunità, una nazione, un continente: non è pensabile che i nostri rappresentanti si sbaglino. “Dai, siamo sicuramente dalla parte dei buoni!”.

Ma c’è un pensiero che ci attanaglia: un “uomo” di Hamas che entra in una casa e stermina una famiglia, o un soldato israeliano che spara a civili inermi in fila per il cibo: non possono essere nati così

Non riusciamo a credere che queste persone non abbiano mai provato la leggerezza di una risata, la carezza di una canzone d’amore o l’emozione di un pensiero tenero prima di dormire. 

Forse il miliziano ha superato un punto di non ritorno: bombe, occupazioni, propaganda, disperazione. 

Anche il soldato è cresciuto nella convinzione che fuori ci sia solo odio, forse ha perso amici o famigliari e non distingue più un ragazzino da una minaccia. 

Purtroppo siamo diventati ciechi: non vediamo l’uomo dietro l’orrore. Dovremmo guardarlo, fino in fondo, per capire dove comincia l’odio e finisce la ragione.

Comunicare per unire, non solo contare morti

Oggi la comunicazione non unisce, frantuma. Ogni tragedia diventa occasione per schierarsi, per vincere la gara dei morti, e il dialogo viene sepolto sotto macerie di slogan. 

Finché penseremo che la nostra parte ha sempre ragione, non ne usciremo mai. Perché l’orrore ha molte lingue, bandiere e volti. Ma il dolore, quello è sempre lo stesso.


Torna alle notizie in home