Esteri

Crisi UK Brexit e Co.

di Martina Melli -


Ho sempre pensato che Londra fosse una città di passaggio. Per molti giovani italiani una sorta di “Grand Tour” postmoderno e al contrario. Mentre i rampolli inglesi del 700 trascorrevano alcuni mesi in Italia per affinare intelletto e sensibilità artistica, la bassa Europa di oggi si trasferisce nel Regno Unito per fare esperienza del mondo globalizzato e aprirsi a maggiori opportunità lavorative. Londra, per quasi tutti quelli che qui hanno trascorso una grande o piccola porzione di vita, rappresenta una tappa fondamentale anche se temporanea. Faticosa ed elettrizzante. Crudele ma incredibilmente stimolante. Per alcuni continua: c’è chi si è stabilito e sta addirittura pensando di comprare casa. Per tanti altri invece è una parentesi chiusa, come una di quelle relazioni che ti segnano la vita in modo costruttivo attraverso una certa dose di devastazione (psicologica ed economica).
Mancavo da tre anni. L’ultima volta ero stata ad agosto 2019, un mondo stravolto fa. Brexit non ancora finalizzata; assurdo anche solo concepire il Paese senza Regina e la parola pandemia era pressoché priva di significato. Il primo elemento che ho incontrato nel 2022 è stato lo sbarramento di frontiera con la grande scritta “UK Border”. Lunghe, ordinatissime file per i passaporti o per salire sullo Stansted express che porta in centro città. Controlli a tappeto eseguiti da numerosi addetti alla sicurezza, biglietto per biglietto.
È il weekend del Black Friday e il consumismo natalizio è pronto a travolgerci di gran carriera. Il centro è intasato di turisti e locals in cerca di occasioni, cappuccini bollenti e vitalità domenicale. Dall’era giurassica, a Regent Street le vetrine sfavillano e bisogna stare attenti a non farsi investire dalla folla che si muove in traiettorie incrociate. Eppure questo periodo, come mi ha detto qualcuno, non fa testo, “nasconde la magagna”. A sud-est della città, nel borough di Lewisham – una zona che comprende New Cross Gate (dove ho studiato quasi 10 anni fa) Brockley, Deptford e limitrofe – le cose appaiono diverse. Poche persone per strada anche di sabato mattina. Vengo a sapere che tanti posticini che amavo non esistono più. Il Deptford Cinema, che proiettava retrospettive in una simil cantina per 15 persone – dove ci si sedeva tenendo in mano un bicchiere di vino acquistato al piano di sopra – ha chiuso. Il ristorantino francese col giardino, accanto alla fermata di Brockley, pure. Il Jam Circus, il pub sotto casa dove lavorava quel coglione del mio coinquilino inglese, non ha fatto eccezione. “Il covid”, risponde in coro, laconica, una coppia di amici portoghesi da cui mi sono appoggiata in questi giorni. Una storia trita e cantilenante. Quasi quanto la gentrificazione che respira sotto la frenesia quotidiana; creatura del sottosuolo che si allunga lentamente, aspettando il momento giusto per bucare la superficie e prendere la crisi economica a braccetto.
Non riconosco più la via maestra del mio vecchio quartiere, sembra di essere altrove. Ho paura a chiedere degli altri ristoranti, negozi, centri di cultura che eravamo soliti frequentare.
Avendo letto e scritto tanto di Sunak il mese scorso, faccio domande a quelli che conosco. Sono tutti molto meno critici di ciò che si evince dalla stampa inglese. Prendono a inveire contro la Truss senza che io l’abbia nemmeno nominata, e di Fishy Rishy dicono che è un capro espiatorio, il meno peggio. Anzi: durante il lockdown il suo piano di cassa integrazione e sostegno alle attività ha fatto la differenza. Marco e Caterina sono a Londra da quasi 10 anni. Marco nel 2020 lavorava come chef in un ristorante internazionale. Lui personalmente, è grato a Sunak perché in quei mesi di chiusura percepiva l’80% dello stipendio, e il suo stesso datore di lavoro una somma importante che gli ha permesso di restare in piedi. La situazione peggiore a detta di tutti è il mercato immobiliare.
Durante i miei quattro anni e mezzo nella capitale, ho cercato e cambiato casa 5 volte, sempre rigorosamente tra mille tormenti. Decine e decine di messaggi su spareroom.co.uk; appuntamenti con ipotetici futuri coinquilini che sembravano colloqui di lavoro o incursioni in un istituto psichiatrico. Agenti che mi rimpallavano, conferme cancellate all’improvviso perché “abbiamo scelto qualcun altro”. Per non parlare dei prezzi stellari, folli, ai limiti dello strozzinaggio. Bills escluse.
Adesso è ancora peggio. Trovare un monolocale o una stanza è praticamente impossibile: per ogni abitazione che si rende disponibile, suonano alla porta 30/40 persone pronte a trasferircisi. Chi può offre di più e i landlord” (i padroni di casa), alzano la posta. Tanti accettano. Tanti rinunciano e cercano fuori città. E il motivo principale sembra essere legato all’aumento del tasso sui mutui, ora del 5-6%.
La mia amica Natalie, di Toronto, ha comprato un immobile a South London l’anno scorso, insieme a Dan, il suo compagno inglese. Hanno una bellissima casa con un mutuo salato che durerà 7000 anni, e lei mi ha confessato che con i tassi di oggi non avrebbe mai potuto permetterselo.
In pochi reggono, e per questo ricominciano a cercare in affitto.
Londra va avanti, nonostante tutto, nonostante le figuracce di Boris (mi sono imbattuta in una vignetta su BoJo nel bagno di un café), e i casini con le borse europee. Ultimamente la sterlina è crollata ai minimi storici eppure, oh, l’euro resta sempre sotto a boccheggiare.
La metropoli tiene il colpo. Hanno pure inaugurato una nuova linea della tube dedicata alla Regina: è viola e si chiama “The Elizabeth Line”.
Sicuramente c’è una strana atmosfera. Tantissime cose sono cambiate e tante altre me le sono lasciate alle spalle il giorno in cui sono rientrata in Italia, ma non è invalidante, non mi sento delusa. Forse perché è e sarà sempre un grande amore.


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