Esteri

Cuba oggi, l’isola che non c’è oltre le spiagge della Florida

di Redazione -


di FRANCESCO NICOLA MARIA PETRICONE
“Mira, el restaurante Don Julio a Cojimar està buenisimo! Las tres ‘b’: bueno, barato y bello”. Non ha dubbi la signora seduta a fianco a me, mentre si prepara a tornare in patria con gli occhi lucidi di emozione. Miami International Airport, terminal E, gate D41. Centinaia di persone, in attesa che inizi l’imbarco, assiepate dall’alba, molto prima della partenza. Pronte a spiccare il volo verso l’isola che non c’è. Destinazione, La Habana, Cuba. Bisogna districarsi tra i bauli per riuscire a raggiungere l’ingresso del gate. Uno, tre bagagli ognuno. Senza vergogna. Vengono in mente i controlli agli imbarchi in Europa, misurati con il bilancino. Al grammo. “Qui è così. Torniamo, quasi, solo per questo. Per portare a chi ci aspetta lì un po’ di aiuto. Oggi a Cuba è difficile”.

Ogni giorno, cinque voli. Ma non è semplice. Per andare dagli Stati Uniti a Cuba bisogna essere cubani. Oppure avere un visto americano B1, B2. L’ESTA non basta. Anzi. Dal 2022 il governo applica la direttiva Trump che considera l’isola che non c’è uno stato sponsor del terrorismo. E per chi arriva nella federazione da Cuba, con l’ESTA, viene respinto e il visto annullato. A tutti, sia famiglie, che bambini, anziani. Siamo ora pronti all’imbarco. “Non si preoccupi, il suo duty free lo troverà all’interno del ‘finger’, prima di entrare nell’aereo”. Strano, ma vero. Ritiro i prodotti che ho acquistato e salgo sull’aeromobile. La cabina è stracolma di persone, di bagagli. Mi siedo. Per tre, cinque, sette passeggere mi offro di sistemare i bauli nelle cappelliere. Dieci, venti, trenta chili. Letteralmente.

“Ah, ah, ah, sempre così non si preoccupi”. Dice, in spagnolo, una hostess, cercando di alleviare così la fatica. Non stento a crederlo. Ormai siamo pronti al decollo. A fianco a me, un simpatico passeggero, corpulento, si abbraccia alla figlia. “Sono trent’anni che sono a Miami. Ogni volta che torno a La Habana è come la prima volta”. Confida, mentre tiene la mano di quella che ora scopro essere invece la sua ‘esposa’. Solo il tempo di raggiungere la quota ed è già ora di atterrare. Un’ora e dieci minuti di volo, per una distanza che da Key West, Florida, a Varadero, nella provincia di Matanzas, è di neanche 90 miglia nautiche. Eppure, dopo oltre sessantacinque anni dalla rivoluzione e sessanta dall’embargo, questa isola che non c’è nella considerazione internazionale, ogni anno vince la sua sfida.

Da oltre trent’anni – anno 1992 – a novembre, i 193 paesi dell’Assemblea Generale dell’Onu votano una risoluzione per la fine dell’embargo. L’ultima, 191 voti a favore. E due contrari. Ogni anno, da allora. Ma nulla cambia. E l’embargo continua. L’applauso fragoroso, eccessivo, dei passeggeri distoglie da questi pensieri e ci dà il benvenuto in questa isola, che ora c’è, di fronte a noi. È l’entusiasmo degli immigrati che ritornano a casa. Anche solo per poche ore. “Nel pomeriggio, rientro a Miami, per ripartire domani e portare altri bagagli per mia madre” confessa Yanira, mentre aspettiamo di passare il controllo dei passaporti all’aeroporto Jose Martì. Dagli Stati Uniti, si può entrare a Cuba solo per studio, ricerca, lavoro.

A Miami, è necessario compilare online un questionario analitico sui motivi della visita, luogo di destinazione, durata della permanenza. E pagare cento dollari al Governo cubano. “Quanto dura il mio visto?” chiedo. “Tutto il tempo che si vuole!” sorride un turista a fianco. In realtà, sono solo novanta giorni. Visto approvato. Il volo verso l’isola che non c’è, è compiuto. Esco fuori, per strada. Sono da poco passate le nove del mattino. È già caldo fuori, malgrado sia inverno. Noto che quello che due anni fa era un baretto desolato e deserto, di fronte agli arrivi, ora vende tutto e di più. Al ritmo di musica salsa e merengue. In meno di due anni, la legge sulle ‘pime’, le piccole e medie imprese, comincia a portare i suoi frutti. E per i cubani è ora di cominciare a raccoglierli.
f.petricone1@lumsa.it


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