Attualità

Da Gaza alla giustizia: la sinistra Tafazzi e la solita rissa

di Rita Cavallaro -


C’è più Tafazzi nel Pd che nell’antico harakiri degli ultimi samurai. Non si spiegano altrimenti, se non con un profondo rituale di purificazione dei peccati, le battaglie che i dem continuano a cavalcare, sempre dalla parte sbagliata. Si riscoprono garantisti se c’è da difendere i diritti dei cattivi maestri, ma non si spogliano di quei panni da giustizialisti che hanno garantito alla sinistra di costruire il potere dalle ceneri della prima Repubblica. In quella coltre fumosa che ha mistificato la realtà, sono svanite le lotte per i lavoratori, la difesa degli ultimi, le politiche sociali che hanno lasciato il posto, per trent’anni, a una politica basata esclusivamente sull’antiberlusconismo e che, finito Berlusconi, non sa più a cosa attaccarsi per tenere insieme i sopravvissuti del multicorrentismo della galassia dem.

Che ancora, un anello di congiunzione ce l’ha: il colore rosso. Non stupisce dunque che si riduca tutto a una battaglia cromatica, a una caccia ai neri in virtù dello spauracchio del pericolo fascista, la cui espressione più demoniaca viene ravvisata nel governo Meloni. E per colpire la premier, dopo tre decenni di giustizialismo anti-Silvio, il Pd si lancia in una battaglia per Ilaria Salis che va oltre le richieste del rispetto dei diritti dell’imputata, ma che punta a sottrarre all’Ungheria quel corpo del reato, la stessa Ilaria in catene, grazie al quale sostenere l’accusa delle violazioni che l’amico fascista della Meloni, Viktor Orban, starebbe perpetrando ai danni di una cittadina italiana.

Da Meloni un silenzio assordante, complice della negazione dei diritti umani di Orbàn. Preferisce tenere buono l’alleato piuttosto che aiutare una nostra connazionale in catene. Basta ambiguità e tentennamenti, il Governo agisca. Ilaria Salis deve tornare in Italia”, il messaggio al manifesto sul profilo X del Pd. Sotto una valanga di commenti: critiche, insulti, accuse di essere fuori dalla realtà se il fine è quello dí sottrarre alla giustizia di un altro Paese un’imputata che avrebbe commesso un reato su suolo straniero. E che dovrebbero spingere i vertici del Pd a porsi più di una domanda sulle proprie scelte politiche altrimenti inutile impegnarsi nella scelta dei prossimi candidati da mettere in lista per le elezioni, che per il risultato previsto vanno bene pure Pippo e Pluto.

Inoltre, quando quel manifesto è stato superato dall’azione della Meloni, che ha telefonato a Orban per discutere del caso Salis, i dem sono andati in confusione e, per rimanere sul pezzo, hanno abbassato l’asticella, spostando il mirino da Giorgia a Matteo Salvini. È contro di lui che ha sparato la segretaria dem, dopo un comunicato in cui la Lega ricordava le gesta dell’antifascista, che anni fa era stata accusata dell’assalto a un gazebo del Carroccio, per il quale era stata assolta. Il vicepremier ha sottolineato: “Fondamentale chiedere per Ilaria Salis condizioni di detenzione civili, umane, rispettose, e un giusto processo. Spero che si dimostri innocente, perché qualora fosse ritenuta colpevole, atti di violenza imputabili a un’insegnante elementare che gestisce il presente e il futuro di bimbi di sei-sette-otto anni sarebbero assolutamente gravi.

Se si dimostrasse che è colpevole, ovviamente sarebbe incompatibile con l’insegnamento in una scuola elementare italiana”. Pronta la risposta della Schlein: “La Lega anziché battersi per non vedere calpestata la dignità di una cittadina italiana si mette a rovistare nel suo passato, ancora prima che sia pronunciata sentenza ha già deciso la colpevolezza, e mette altre catene ai polsi e alle caviglie di Ilaria Salis richiamando accuse su cui è già stata assolta. In questa nostalgia di Medioevo dove sparisce la presunzione di innocenza, Salvini si spinge ad affermazioni di un paternalismo insopportabile, ma se sostiene che chi è accusato di lesioni non possa fare la maestra, allora viene da chiedergli come possa, chi è accusato di sequestro di persona, fare il ministro”.

Ed eccolo lì lo spirito giustizialista che torna sempre a galla: mentre le parole di Salvini sono correlate a una condanna, quelle della segretaria del Pd mostrano il volto dei manettari alla pizzaiola, per i quali basta un processo in corso, ma anche un semplice avviso di garanzia, per essere colpevoli. E sui colpevoli veri tutti zitti. Non una parola per quella mamma a cui hanno ammazzato il bimbo nell’incidente stradale di Ostia, per il quale l’investitore Matteo Di Pietro non farà un giorno di galera. Non una parola per i genitori di Erika Preti, il cui assassino condannato a 30 anni è stato liberato dopo 5 perché obeso e iper fumatore. E nemmeno una parola per gli innocenti incarcerati ingiustamente, come Beniamino Zuncheddu, rimasto in prigione per 32 anni a causa di un errore giudiziario per il quale quei giudici non pagheranno. Nessuna delegazione del Pd in visita per lui in questi anni da recluso. D’altronde è un povero pastore del Sinnai, mica un compagno come il terrorista Alfredo Cospito. Perché per il Pd, gli innocenti da prendere a modello sono sempre i delinquenti.


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