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Da Top Gun a Kate Bush, perché abbiamo così tanta nostalgia degli anni ottanta?

di Ilaria Paoletti -


Russia e Usa sono ai ferri corti, in cima alle classifiche musicali di tutto il mondo c’è Running up that hill di Kate Bush e al cinema impazzano i pettorali guizzanti di Tom Cruise, protagonista di Top Gun. No, non siamo caduti in una macchina del tempo per svegliarci negli anni Ottanta: proviamo a spiegare cosa è successo. Per il ritrovato trionfo della cantautrice britannica possiamo dare il merito alle nuove avventure dei protagonisti di Stranger Things, amatissima serie Netflix ambientata negli eighties, ormai giunta alla quarta serie. Dopo aver risuonato dal walkman di Max Mayfield (Sadie Sink) nel primo episodio della stagione, Running Up That Hill ritorna con prepotenza nel corso delle puntate fino a salvare la vita della ragazza. E ad appena quattro giorni di distanza dalla comparsa degli episodi in streaming, il pezzo del 1985 è schizzato in cima alle classifiche dei brani più ascoltati su Spotify in tutto il mondo, dall’Europa agli Usa, con una media di otto milioni di ascolti giornalieri. La Bush, oggi sessantatreenne, si è guadagnata (con un ritardo di qualche decennio) il suo primo ingresso nella top ten Usa. Parallelamente, al cinema rompe ogni record d’incassi Top Gun – Maverick, uscito nelle sale a fine maggio ma che già si appresta a infrangere la soglia dei 600 milioni di dollari di incasso nel mondo. Con 13.8 milioni di dollari, il seguito del capolavoro di Tony Scott del 1986 è secondo solamente ai 15.2 milioni incassati da Il Re Leone prima della pandemia. In Italia ha superato i 7.5 milioni di euro al botteghino. La pellicola con il sempiterno Tom Cruise ha messo d’accordo fan e critici: su Rotten Tomatoes ha ottenuto punteggio pressoché perfetto sia da parte del pubblico che dalla critica, rispettivamente al 99% e del 97%. Questi successi, tuttavia, vanno ad innestarsi in un trend più che consolidato: quello della nostalgia per gli anni Ottanta. Nel caso di Stranger Things, è ormai dal 2016 che la serie educa la Gen Z sulla musica e i film di quel decennio. “Credo che siamo nostalgici degli anni ’80 perché era una decade in cui non esisteva lo stress” ha dichiarato Steven Spielberg nel 2020. Il regista ha sostenuto altresì che forse è il periodo che viviamo che “ci fa pensare che ci sono stati tempi migliori in passato e ci forza quasi a voler ritornare a ciò che era negli anni ’80”. Che furono non solo anni di edonismo, ma anche di evoluzione tecnologica: grazie, ad esempio, al Vhs e al walkman, l’audiovideo entrò nelle case di tutti, permettendo ai giovani d’oggi di avere una miniera di reperti. Questo, però, non spiega ancora tutto. Secondo il vocabolario Treccani, la nostalgia è il “desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano”. Nel caso dei fratelli Matt e Ross Duffer, registi di Stranger Things, per ragioni strettamente anagrafiche (sono nati nel 1984), non è possibile parlare di un’opera basata su esperienze dirette: i due ci restituiscono un decennio idealizzato, vissuto di riflesso grazie alla musica ma soprattutto grazie ai film. Chi quell’epoca l’ha vissuta davvero, come i creatori di Cobra Kai, ha un altro approccio: la serie, diventata uno degli show più popolari di Netflix, deriva da un altro franchise amatissimo, quello di Karate Kid. In questo caso, il successo del prodotto non sta solo nel portare alla ribalta personaggi già noti al pubblico, ma anche nel rimetterli in discussione: a rubare la scena al “buono” Daniel San c’è ora Johnny Lawrence, quello che nei film di 1984 interpretava il tipico bullo biondo della high school americana e che, oggi, si può permettere frasi politicamente scorrette contro femminismo e gender che non avrebbero scandalizzato nessuno un tempo ma che ora, nell’era della cultura woke e della sessualità fluida, possono costare accuse di razzismo e intolleranza a chiunque. E forse è proprio questo ciò che ci manca degli anni Ottanta e che ha prodotto questa tendenza nostalgica al cinema e nelle classifiche musicali: non tanto i suoni, gli abiti o il design, ma il ricordo di quando si poteva parlare liberamente senza rischiare di essere “cancellati”. Un sentimento struggente che forse poche generazioni, prima di questa, hanno vissuto.


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