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Dal Pos all’Imu La retromarcia imposta dall’Ue

di Cristiana Flaminio -

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Vorrei ma non Pos. Questa sarà la manovra dei sogni infranti per il centrodestra e, in particolare, per la premier Giorgia Meloni. Che ci ha messo la faccia, sposando, talora, anche temi e proposte non precisamente sue ma che è stata costretta a (più di) un dietrofront sui temi che hanno infiammato il dibattito pubblico sulla manovra.
Di sicuro, le scelte per il governo non erano facili. E, in un certo senso, obbligate. Dalla ristrettezza di tempi e risorse. La manovra proposta al parlamento, tra mille difficoltà, non avrebbe sfigurato se fosse stata presentata dall’uomo che l’ha preceduta a Palazzo Chigi, Mario Draghi. Del resto, la figura di Giancarlo Giorgetti al Mef, primo politico a ritornarci forse dai tempi della Prima Repubblica, è stata di garanzia e apertamente “draghiana”.
Basta dare una spulciata ai temi della manovra per far risuonare le assonanze. Anche l’ex governatore della Bce si è prodigato in sostegni, aiuti e misure per sostenere famiglie e imprese contro il caro bollette. Giorgia ha sostituito alle mille norme di Mario, le misure chiare e temporanee richieste dall’Ue. Anche Draghi ha avallato l’ipotesi di una tassa sugli extraprofitti, che non ha funzionato benissimo e di cui Meloni si è proposta di oliare i meccanismi. Sul price cap, in Europa, la posizione è la stessa, identica. Così come uguali sono la “prudenza” nei conti che tanto è piaciuta a Bruxelles e che è valsa alla manovra la promozione della Commissione.
Ma è sui temi “identitari” che il centrodestra è incespicato. Dal Pos al tetto ai contanti e fino alla rimodulazione dell’Imu. La guerra ai pagamenti elettronici s’è risolta in un nulla di fatto, per quanto riguarda l’imposta sugli immobili, s’è deciso di posticiparla di sei mesi. Sui pagamenti in contanti, qualche giorno fa, s’è verificato un buffo balletto. La norma, contenuta nell’articolo 69 con quella sulle soglie Pos, era stata cancellata “per sbaglio” e il ministro Giorgetti è dovuto scendere in campo personalmente per assicurare che si era trattato di un mero errore che il titolare del Mef ha imputato alla Ragioneria di Stato ma del quale si è assunto la responsabilità davanti alle opposizioni che lo incalzavano in Commissione. Insomma, Ue, Bankitalia e Quirinale sono riusciti a far aggiustare il tiro al governo sulle misure sulle quali pur si giocava un’importante partita politica.
Almeno ha retto la guerra al reddito di cittadinanza. Giorgia Meloni, forte del consenso elettorale, ha potuto smantellare l’impianto della misura di sostegno al reddito sulla quale è caduto, sostanzialmente, il governo Draghi. Che pure aveva annunciato la volontà solo di modificarlo, nell’estate scorsa, e non di cancellarlo come, invece, si accinge a fare il governo Meloni. Addirittura, a corto di risorse, l’esecutivo è riuscito a tagliare un’altra mensilità (dalle otto preventivate a sette) il Rdc residuo per i beneficiari e a stralciare la “congruità”, facendo in modo che si perderà tutto al primo “no”.

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