Attualità

Dalla Camera la Commissione d’inchiesta su Orlandi e Gregori

di Rita Cavallaro -

Un momento in piazza del Sant'Uffizio durante sit-in per Emanuela Orlandi nel giorno del suo compleanno, Roma 18 gennaio 2020. ANSA/GIUSEPPE LAMI


La scomparsa di Emanuela Orlandi e quella di Mirella Gregori diventano un cold case di Stato. La Camera, all’unanimità, ha approvato la proposta di legge che istituisce la Commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta sui casi irrisolti delle due 15enni svanite nel nulla, a Roma, nel 1983, a poco più di un mese di distanza l’una dall’altra e in circostanze simili. Di Mirella Gregori si persero le tracce il 7 maggio, giorno in cui la ragazza uscì di casa nel pomeriggio, dicendo a sua madre che aveva un appuntamento con un amico a Porta Pia. Sempre un incontro con uno sconosciuto sarebbe la chiave del giallo di Emanuela Orlandi, rapita il 22 maggio mentre rientrava a casa dopo le lezioni di musica. Due storie che, in questi decenni, sono tornate ciclicamente alla ribalta delle cronache, soprattutto quella della cittadina vaticana, ricca di colpi di scena, depistaggi e soprattutto misteri, alimentati dalla numerose piste che spaziano dalla Banda della Magliana ai soldi dello Ior. I magistrati capitolini hanno cercato perfino nella tomba di Renatino De Pedis, il boss della banda criminale che in quegli anni si era presa la Capitale. La bara, tumulata incredibilmente nella chiesa di Sant’Apollinaire, venne aperta, perché qualcuno giurava che insieme ai resti del boss fosse tumulato il corpo di Emanuela. Fu un buco nell’acqua. Anche l’apertura di due tombe al cimitero Teutonico, indicato da una gola profonda come il luogo in cui giacevano le spoglie della ragazza, non portò a nulla. Anzi, alimentò il mistero, perché venne alla luce una stanza sotterranea, costruita successivamente in cemento armato, dove custodire qualcosa di segreto. Eppure, stranamente, all’interno non c’era niente, era già stata svuotata. Tentativi incessanti per la ricerca della verità, determinati dalla tenacia di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, che in questi quarant’anni non solo non si è mai arreso di fronte alla tragica sorte della ragazza, ma ha portato avanti indagini private che conducono direttamente in Vaticano. E che addensano ancor più i sospetti sulle rivelazioni di un informatore, il quale, legando la scomparsa di Emanuela con quella di Mirella nell’anno in cui da Roma svanirono venti ragazze, sostiene che dietro la sparizione ci sia una storia di sesso, pedofilia e molestie da parte di alti prelati. Illazioni al momento, prive di fondamento. Ma il filo rosso tra il caso Orlandi e la Santa Sede avrebbe basi solide nella documentazione finita nelle mani della famiglia di Emanuela alcuni mesi fa, quando Pietro è entrato in possesso di alcuni screenshot di una conversazione del 2014 tra due cellulari riservati del Vaticano. In questo scambio di messaggi si parla della ragazza rapita, della stanza sotterranea del cimitero Teutonico, di “tombaroli”, di Papa Francesco e del cardinal Abril, che all’epoca era il presidente della commissione cardinalizia dello Ior. “Come paghiamo i tombaroli per quelle cose che abbiamo preso?”, avrebbero scritto i due, che poi accennano a una documentazione su Emanuela di cui ne sarebbero stati al corrente sia Papa Francesco che Abril. Che Bergoglio sappia che fine ha fatto la cittadina vaticana appare chiaro, anche perché, subito dopo la sua elezione al soglio pontificio, aveva detto a Pietro: “Emanuela è in cielo”. Il fratello della ragazza, con una lettera, aveva dunque informato il Papa dei nuovi elementi raccolti in quella conversazione e il Pontefice gli aveva risposto con una missiva, in cui precisava che il Vaticano era disponibile a collaborare al caso. Nell’ultimo anno si è consumato un braccio di ferro tra la famiglia e la giustizia vaticana, restia ad avviare un’inchiesta. La svolta a gennaio scorso, quando la Santa Sede, per la prima volta in quarant’anni, ha deciso di aprire un fascicolo sul caso Orlandi, diventato troppo spinoso per quelle chat con nomi pesanti, tombaroli e messaggi cifrati. “Quella fiducia che avevo riposto nel Vaticano con l’apertura dell’inchiesta sta sfumando, non ci hanno ancora comunicato nulla”, ha detto Pietro, sottolineando che “se si apre un’inchiesta vuol dire che si ha la voglia e la volontà di arrivare alla verità e si dovrebbe quantomeno sentire il nostro avvocato, che da anni chiede un incontro perché abbiamo elementi importanti che potrebbero portarci alla verità. Da parte loro dovrebbe esserci l’interesse primario di chiamarci e chiederci quali sono questi elementi, invece niente”, ha precisato. E mentre nello Stato del Vaticano vengono vagliati in silenzio i nuovi elementi, in quello italiano le Istituzioni si muovono in sede parlamentare per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta, approvata alla Camera e ora all’esame del Senato, che faccia luce non solo sulla scomparsa di Emanuela, ma anche su quella meno battuta di Mirella. Che il giorno della sparizione fu contattata al citofono di casa in via Nomentana da una persona che disse di chiamarsi Alessandro e che lei non conosceva. “Se non mi dici chi sei, non scendo”, avrebbe detto Mirella, che infine decise di incontrare la persona alle 15. La ragazza disse alla madre che aveva un appuntamento al monumento al bersagliere di Porta Pia con un compagno di classe. Una circostanza smentita dal giovane, il quale, sentito dagli investigatori, disse che quel pomeriggio aveva un impegno altrove. Come per Emanuela, anche la famiglia Gregori fu contattata da un telefonista, l’Amerikano, che offriva notizie sulla scomparsa in cambio della liberazione dell’attentatore di Papa Wojtyla, il terrorista turco Ali Agca. Nel caso Gregori, che non conosceva la Orlandi, il collegamento con la Chiesa è però debole. E anche la guardia della gendarmeria vaticana Raoul Bonarelli, indicato dalla madre di Mirella come l’uomo che aveva visto più volte parlare con la figlia al bar sotto casa, fu dichiarato del tutto estraneo alla vicenda.

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